In un articolo pubblicato su Memo Grandi magazzini culturali (da qui si può scaricare il pdf con il testo
integrale), Adrea Granelli invita a diffidare della traduzione letterale del
concetto di smart city. All’intelligenza
automatica implicita nella definizione Granelli dice di preferire la combinazione di “ingegno” e “astuzia”. Spiegando cosí la
sfumatura interrogativa del titolo del suo libro, Città intelligenti?
Non è desiderabile l’avvento di
città intelligenti se nel concetto di intelligenza prevale l’estremismo
tecnologico che sogna la programmazione
automatica di tutte le declinazioni del vivere. Una visione integralmente
strumentale della razionalità introduce una inquietante, e irrealistica,
tentazione “totalizzante” nel controllo dei processi sociali.
Il pensiero greco, spiega Granelli, distingueva
il logos (intelligenza razionale
legata all’uso della parola e alla capacità di concettualizzare) dalla metis (astuzia, acutezza animale). La prima era una “razionalità discorsiva”, lineare, mentre la
seconda era una
”acutezza”, una intuizione di grande impatto, incisiva, spesso legata a
un uso
astuto delle poche risorse disponibili, sempre insufficienti se valutate da
una prospettiva “razionale”. La metis è
l’intelligenza di Ulisse, la sostanza del suo “multiforme ingegno”.
Prometeo (pro–metis)
è colui che pensa in anticipo, che pre-vede. Oggi uno dei temi fondamentali
della pianificazione urbana è proprio la previsione, l’anticipazione dei
bisogni. L’astuzia – la dote attribuita tradizionalmente alla lince – fu l’idea
che ispirò nel 1602 Federico Cesi quando fondò l’Accademia dei Lincei, la piú antica accademia del mondo, che ha
annoverato tra i suoi primi soci Galileo Galilei.
L’agudeza, del resto, era uno degli aspetti centrali a cui puntava la formazione che le scuole gesuitiche organizzavano per la classe dirigente del tempo. Questa acutezza richiede un modo diverso di guardare le cose, di dare peso a ciò che si osserva, di dissezionare il noto con un occhio acuto come un rasoio.
Ma è l’incontro di
acutezza e ingegno – descritto emblematicamente nel libro Agudeza y arte de ingenio che il gesuita Baltasar Gracián Y Morales
scrisse nel 1647 – a generare potenza creativa, acutezza nella lettura
del contesto e quella genialità
che si traduce in opere di ingegno concrete, da cui l’espressione “genio civile”.
Le nuove tecnologie devono
quindi aiutare le città non solo a diventare intelligenti e raziocinanti, a
dare il meglio con le regole e le conoscenze attuali, ma anche – e forse soprattutto
– a facilitare il processo di adattamento alle sempre piú mutevoli esigenze, e
in qualche modo a intuirle e pre-vederle, trasformando gli spazi urbani in “città
d’ingegno” dove visione, genialità (ma anche genius loci) e astuzia
si fondono in unicum che consente di trovare – anche con la carenza cronica di
risorse e competenze – soluzioni intelligenti in quanto “ingegnose”.
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