A febbraio di quest’anno l’Anci
ha presentato una serie organica di proposte
per il Paese. Andrea Granelli ne ha parlato in un suo articolo su Wired.
Il documento programmatico muove da una valutazione netta delle misure messe in
atto a livello nazionale per rispondere agli effetti della crisi economica: i tagli lineari alla spesa pubblica, che colpiscono
soprattutto gli enti locali, indeboliscono i sistemi di protezione dei
cittadini, paralizzano l’economia e sottraggono prospettive alla crescita.
Se non vengono abbandonate senza
sostegni a una deriva di lotte localizzate per la sorpavvivenza le città
possono rappresentare il nucleo dal quale ripartire per elaborare le strategie di ripresa dello sviluppo. La
città è il primo luogo di coagulazione di una comunità. Dentro la città possono
riattivarsi rapidamente i processi produttivi anche attraverso la
sperimentazione immediata di soluzioni
innovative. Amministratori, imprenditori, associazioni di cittadini trovano
nel tessuto urbano uno spazio naturale di convergenza
e di collaborazione. E rappresentano energie da organizzare e coordinare dentro
un disegno nazionale che non ignori le specificità e non indebolisca le
autonomie. Un patto che riesca a unire le forze piú sane e attive e a tracciare
un programma comune, per liberare
risorse e favorire investimenti fondamentali per recuperare competitività e
garantire equità. “Le città – si legge nel documento dell’Anci – possono
mettere a disposizione molte proposte se si ha il coraggio di investire in un’innovazione
dal basso capace di coinvolgere, in una grande sfida collettiva, le intelligenze e le competenze diffuse nei
territori.”
Il patto proposto dall’Anci
si articola in cinque Progetti Paese. Da una prospettiva sensibile alla
progettazione di “città intelligenti” si può dire che il primo punto, riferito
alle città ad alto potenziale di innovazione, si impone come prioritario e in grado di
includere, come corollari, tutti gli altri.
Il piano per l’innovazione prevede una serie di interventi sistemici
finalizzati a ridurre il ritardo italiano dal punto di vista
delle infrastrutture tecnologiche. A
partire da un programma di cablatura del territorio che possa estendere e
rendere capillare il “sistema nervoso” delle connessioni di rete, portando la
fibra ottica in tutte le imprese e in tutte le case. Attraverso una
valorizzazione e una messa in opera delle competenze e delle conoscenze localizzate sul territorio, un
coinvolgimento delle reti produttive e imprenditoriali locali, una attivazione
degli strumenti amministrativi e fiscali di prossimità.
Naturalmente le infrastrutture
tecnologiche rappresentano una condizione
preliminare perché le imprese possano investire in innovazione: un prerequisito
importante, ma non sufficiente. Non possono essere strade nel deserto: devono
fertilizzare il paesaggio attraverso i servizi che riescono a veicolare.
Insieme alle infrastrutture è necessario stimolare e promuovere la nascita di
nuove imprese o di nuovi business nei settori dell’economia della conoscenza ad alto contenuto tecnologico. Superando
la frammentazione e l’atomizzazione attraverso la costruzione di un programma
nazionale, riconosciuto e riconoscibile, capace di ottimizzare gli sforzi e
attrarre i migliori talenti in un cono di luce visibile, affermandosi anche sul
piano simbolico e comunicativo. Si
tratta di coagulare gli sforzi già in atto e integrare in un quadro unitario i tratti
dispersi. Favorire lo sviluppo di imprese e business nel settore della new
economy, coinvolgendo le principali industrie del Paese in declinazioni
operative e scelte settoriali differenti nelle diverse città, al fine di
valorizzare le competenze distintive dei singoli territori. Il fermento diffuso
di nuove infrastrutture e nuovi servizi, organizzato in un Progetto Paese, potrebbe
incanalare le energie e prepararle a sfruttare opportunità importanti, come quella di Expo 2015,
che rischiano di sfumare e perdersi nelle ambiguità di una gestione opaca.
Un patto di questo tipo può essere
governato efficacemente solo gestendo una collaborazione
complessa tra il livello nazionale e i livelli locali, tra il centro e la
periferia. La programmazione centrale deve essere intelligentemente declinata in
un piano di azioni dislocate, capaci di articolare i progetti rispetto alle specifiche caratteristiche del territorio
e alle esigenze delle città.
Al livello locale competono le azioni concrete
di attuazione, mentre il livello nazionale avrà il compito di supportare le
città, di coordinare i lavori, monitorare e valorizzare le esperienze,
coinvolgere gli amministratori e i soggetti del territorio, garantire una comunicazione nazionale, assicurare le
utilità di crescita, scambio e confronto per le comunità di innovatori che si
verranno a costituire.
Un raccordo tra autonomia territoriale
e visibilità del coordinamento nazionale è la chiave fondamentale per
assicurare i fattori critici di successo del patto: “la concretezza locale degli interventi; il coinvolgimento attivo di
una grande quantità di innovatori che sul territorio nazionale si muoveranno nella
prospettiva di un disegno comune di
crescita del Paese; la visibilità di un programma nazionale, che seppure realizzato
tramite numerose esperienze locali consente di percepire una strategia unitaria e concreta per la
crescita e la coesione dell’Italia”.
Nel contesto di una crisi profonda del rapporto tra i
cittadini e le istituzioni, che si inquadra in una crisi della rappresentanza
politica e che è diretta emanazione del collasso delle politiche, delle
identità e delle economie nazionali e sovranazionali, ridefinire la sovranità,
dare spazio alle emergenze dal basso, ridistribuire
sul territorio risorse e responsabilità può rappresentare un argine
decisivo contro una disgregazione che appare irreversibile se affrontata con
gli strumenti tradizionali.
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