martedì 5 giugno 2012

Progetto Paese


A febbraio di quest’anno l’Anci ha presentato una serie organica di proposte per il Paese. Andrea Granelli ne ha parlato in un suo articolo su Wired. Il documento programmatico muove da una valutazione netta delle misure messe in atto a livello nazionale per rispondere agli effetti della crisi economica: i tagli lineari alla spesa pubblica, che colpiscono soprattutto gli enti locali, indeboliscono i sistemi di protezione dei cittadini, paralizzano l’economia e sottraggono prospettive alla crescita.

Se non vengono abbandonate senza sostegni a una deriva di lotte localizzate per la sorpavvivenza le città possono rappresentare il nucleo dal quale ripartire per elaborare le strategie di ripresa dello sviluppo. La città è il primo luogo di coagulazione di una comunità. Dentro la città possono riattivarsi rapidamente i processi produttivi anche attraverso la sperimentazione immediata di soluzioni innovative. Amministratori, imprenditori, associazioni di cittadini trovano nel tessuto urbano uno spazio naturale di convergenza e di collaborazione. E rappresentano energie da organizzare e coordinare dentro un disegno nazionale che non ignori le specificità e non indebolisca le autonomie. Un patto che riesca a unire le forze piú sane e attive e a tracciare un programma comune, per liberare risorse e favorire investimenti fondamentali per recuperare competitività e garantire equità. “Le città – si legge nel documento dell’Anci – possono mettere a disposizione molte proposte se si ha il coraggio di investire in un’innovazione dal basso capace di coinvolgere, in una grande sfida collettiva, le intelligenze e le competenze diffuse nei territori.”

Il patto proposto dall’Anci si articola in cinque Progetti Paese. Da una prospettiva sensibile alla progettazione di “città intelligenti” si può dire che il primo punto, riferito alle città ad alto potenziale di innovazione, si impone come prioritario e in grado di includere, come corollari, tutti gli altri.
Il piano per l’innovazione prevede una serie di interventi sistemici finalizzati a ridurre il ritardo italiano dal punto di vista delle infrastrutture tecnologiche. A partire da un programma di cablatura del territorio che possa estendere e rendere capillare il “sistema nervoso” delle connessioni di rete, portando la fibra ottica in tutte le imprese e in tutte le case. Attraverso una valorizzazione e una messa in opera delle competenze e delle conoscenze localizzate sul territorio, un coinvolgimento delle reti produttive e imprenditoriali locali, una attivazione degli strumenti amministrativi e fiscali di prossimità.

Naturalmente le infrastrutture tecnologiche rappresentano una condizione preliminare perché le imprese possano investire in innovazione: un prerequisito importante, ma non sufficiente. Non possono essere strade nel deserto: devono fertilizzare il paesaggio attraverso i servizi che riescono a veicolare. Insieme alle infrastrutture è necessario stimolare e promuovere la nascita di nuove imprese o di nuovi business nei settori dell’economia della conoscenza ad alto contenuto tecnologico. Superando la frammentazione e l’atomizzazione attraverso la costruzione di un programma nazionale, riconosciuto e riconoscibile, capace di ottimizzare gli sforzi e attrarre i migliori talenti in un cono di luce visibile, affermandosi anche sul piano simbolico e comunicativo. Si tratta di coagulare gli sforzi già in atto e integrare in un quadro unitario i tratti dispersi. Favorire lo sviluppo di imprese e business nel settore della new economy, coinvolgendo le principali industrie del Paese in declinazioni operative e scelte settoriali differenti nelle diverse città, al fine di valorizzare le competenze distintive dei singoli territori. Il fermento diffuso di nuove infrastrutture e nuovi servizi, organizzato in un Progetto Paese, potrebbe incanalare le energie e prepararle a sfruttare opportunità importanti, come quella di Expo 2015, che rischiano di sfumare e perdersi nelle ambiguità di una gestione opaca.

Un patto di questo tipo può essere governato efficacemente solo gestendo una collaborazione complessa tra il livello nazionale e i livelli locali, tra il centro e la periferia. La programmazione centrale deve essere intelligentemente declinata in un piano di azioni dislocate, capaci di articolare i progetti rispetto alle specifiche caratteristiche del territorio e alle esigenze delle città.
Al livello locale competono le azioni concrete di attuazione, mentre il livello nazionale avrà il compito di supportare le città, di coordinare i lavori, monitorare e valorizzare le esperienze, coinvolgere gli amministratori e i soggetti del territorio, garantire una comunicazione nazionale, assicurare le utilità di crescita, scambio e confronto per le comunità di innovatori che si verranno a costituire.
Un raccordo tra autonomia territoriale e visibilità del coordinamento nazionale è la chiave fondamentale per assicurare i fattori critici di successo del patto: “la concretezza locale degli interventi; il coinvolgimento attivo di una grande quantità di innovatori che sul territorio nazionale si muoveranno nella prospettiva di un disegno comune di crescita del Paese; la visibilità di un programma nazionale, che seppure realizzato tramite numerose esperienze locali consente di percepire una strategia unitaria e concreta per la crescita e la coesione dell’Italia”.

Nel contesto di una crisi profonda del rapporto tra i cittadini e le istituzioni, che si inquadra in una crisi della rappresentanza politica e che è diretta emanazione del collasso delle politiche, delle identità e delle economie nazionali e sovranazionali, ridefinire la sovranità, dare spazio alle emergenze dal basso, ridistribuire sul territorio risorse e responsabilità può rappresentare un argine decisivo contro una disgregazione che appare irreversibile se affrontata con gli strumenti tradizionali.


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