Le infrastrutture che rendono possibili le relazioni non
stanno nella città: sono la città.
Esiste un’architettura dei sistemi di comunicazione che modella lo spazio
urbano e descrive le sue condizioni di esistenza. Determinando le pratiche
sociali, le forme di cittadinanza e le declinazioni dell’estetica.
Intorno all’urgenza di questi temi si svilupperà, dal 7 al 9 giugno, il
seminario internazionale Media City: new spaces, new aesthetics, promosso dalla Triennale di Milano. Esperti di comunicazione, media, architettura e
urbanistica si incontrano per provare a individuare le linee di trasformazione della
città contemporanea e del futuro. Saranno ospiti “guru” internazionali come
Henry Jenkins, architetti affermati come Kurt W. Forster, Mirko Zardini,
Pierluigi Nicolin, giovani architetti di Yale, studiosi di media e contesti
urbani come Vinzenz Hediger e Will Staw (responsabile del maggior laboratorio
canadese su media e città), tecnologi come Alfonso Fuggetta, studiosi
dell’organizzazione urbana come Giuliano Noci, studiosi di estetica come Mauro
Carbone.
Il convegno è coordinato per la Triennale da Francesco
Casetti, professore di cinema e media alla Yale University. Che in questo video
si chiede: “cosa fanno i media alla città?” La rendono piú funzionale, piú
attrattiva, piú sociale, piú bella, piú ampia, piú fluida. Ma anche piú
complessa e difficile da decifrare.
“Come
una Matrioska, i sotterranei del vivere collettivo sono l’esplorazione del
presente”, scrive Luca Tremolada su Nòva introducendo la sua
conversazione col professor Casetti. I media hanno sempre ridefinito l’ecologia
dei sistemi umani, cosí come l’orizzonte delle abitudini individuali. Ma se i
media novecenteschi plasmavano soprattutto lo spazio del pubblico o, come nel
caso della televisione, risucchiavano nel pubblico lo spazio privato, i media
digitali aboliscono ogni distinzione tra pubblico e privato. Aggredendo
la nozione di centro i nuovi sistemi di comunicazione riconfigurano anche gli
spazi urbani e le loro funzioni.
Le
comunità che si creano in rete tendono a geolocalizzarsi secondo strategie
inedite. Ma non per questo aboliscono il senso del territorio. Invece di
escludersi a vicenda geografia virtuale e geografia fisica si compenetrano. L’interazione
virtuale si prolunga nello spazio reale. Sifdando i progettisti a concepire
luoghi capaci di rendere funzionale questa contaminazione di piani. “Un aspetto
interessante – osserva Casetti – è che mentre la circolazione dei messaggi è
globale, il loro impatto è locale.” Un tweet può permettere a una comunità di
convocarsi in diretta in un punto del mondo, proprio mentre comunica al resto
del mondo la realtà dell’incontro.
Come
un nuova atmosfera “aumentata” la mediasfera fascia la città premendo sulle sue
forme. Producendo estetiche e politiche. E ristrutturando il flusso economico,
che sempre di piú integra la produzione di beni immateriali e valorizza la
creatività.
La
ricomposizione mediale della città disegna un articolato paesaggio di opportunità.
Ma nasconde anche nelle proprie pieghe rischi ancora indefiniti e nuove
categorie di problemi. Quali possono essere l’esasperazione delle tecniche di
controllo, il livellamento delle differenze, le forme di esclusione legate ai
ritardi tecnologici di alcune fasce della popolazione. Ritornando all’immagine
della Matrioska: “le città rischiano di custodire sottomondi”, scollature
tra i diversi livelli di fruizione, attività sotterranee che possono produrre
smottamenti e pesanti ricadute nel reale.
La sola possibile intelligenza della
città sarà allora nella capacità di gestire attraverso soluzioni ingegnose la
stratificazione complessa di opportunità e problemi.
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