sabato 28 luglio 2012

La presenza dell’arte: Chicago


Le pratiche artistiche che si inscrivono nei contesti urbani, che riflettono sulla relazione tra l’opera d’arte e l’ambiente, possono dire qualcosa sul presente della città, del quale la presenza dell’arte rivela i punti di tensione. L’arte si colloca dentro la città come ipotesi progettuale. La sua interpretazione dello spazio produce uno scarto rispetto all’esistente urbanistico, e suggerisce modelli di trasformazione.



Per vincere il proprio complesso di subordinazione rispetto a New York e Los Angeles Chicago, terza città degli Stati Uniti, si affida a un programma di rigenerazione urbana che assume l’arte come elemento strutturale. Transition Team è un progetto pensato per fare della città un incubatore di creatività. Attrarre e accogliere artisti e operatori culturali creando, attraverso sovvenzioni e sostegno logistico, condizioni e ambienti di lavoro adeguati. Con la prospettiva di coinvolgere gli ospiti nel processo di pianificazione urbana: gli artisti non si limiteranno a occupare e a sfruttare gli spazi che gli saranno concessi, ma potranno contribuire a ridefinirli. L’esperimento di Chicago mostra una possibilità di inclusione dell’arte nel contesto urbano non soltanto come elemento ornamentale, o come attrattore turistico. L’arte è integrata all’interno della città come strumento di progettazione e come serbatoio di soluzioni tecniche e concettuali. Esce dall’esilio dei “contenitori d’arte” per disperdersi nell’ambiente e modificare, insieme all’estetica dei luoghi, le dinamiche sociali e civili



venerdì 27 luglio 2012

La presenza dell’arte: Berlino


Le pratiche artistiche che si inscrivono nei contesti urbani, che riflettono sulla relazione tra l’opera d’arte e l’ambiente, possono dire qualcosa sul presente della città, del quale la presenza dell’arte rivela i punti di tensione. L’arte si colloca dentro la città come ipotesi progettuale. La sua interpretazione dello spazio produce uno scarto rispetto all’esistente urbanistico, e suggerisce modelli di trasformazione.

A Berlino si è installato tra le polemiche il Guggenheim Lab, laboratorio itinerante allestito dalla galleria in collaborazione con l’azienda produttrice di automobili BMW. Il progetto si propone di indagare le declinazioni del “benessere”: Confronting Comfort è il tema che orienta la piattaforma, verso la quale convergeranno idee sulle trasformazioni delle infrastrutture, sugli innesti tecnologici nel quotidiano, sulla sostenibilità della vita urbana contemporanea. 
Le resistenze opposte dalla cittadinanza e da alcune forze politiche alla realizzazione del progetto, che rischierebbe di accelerare il processo (probabilmene già compiuto) di gentrificazione del quartiere di Kreuzberg, possono essere respinte per intempestività, ma pongono il problema dei rapporti di forza tra arte contemporanea, impresa e pianificazione urbana.
Esiste un conflitto semiotico intorno all’articolazione della città e dei suoi paesaggi visivi: arte e impresa lo combattono spesso da alleati. E mentre i colossi dell’industria e dell’art business cercano insieme soluzioni per razionalizzare lo spazio urbano, un artista come Robert Montgomery viene incaricato di disseminare nell’area dell’ex aeroporto di Tempelhof le sue poesie-installazioni. La parola si dilata fino a diventare elemento figurativo e architettonico, con l’intenzione di produrre discontinuità, scavare riserve di senso dentro la semiosi compatta e univoca della città. 



La presenza dell’arte: Roma


Le pratiche artistiche che si inscrivono nei contesti urbani, che riflettono sulla relazione tra l’opera d’arte e l’ambiente, possono dire qualcosa sul presente della città, del quale la presenza dell’arte rivela i punti di tensione. L’arte si colloca dentro la città come ipotesi progettuale. La sua interpretazione dello spazio produce uno scarto rispetto all’esistente urbanistico, e suggerisce modelli di trasformazione.


A Roma l’Outdoor Urban Art Festival ha confermato la vocazione del quartiere Ostiense a proporsi come un laboratorio per la street art europea. Progetti artistici e iniziative culturali per lasciare una traccia permanente nel modo di vivere le aree urbane. Modificazioni dell’ambiente affidate quest’anno, tra gli altri, all’astrattismo urbano dello statunitense Momo, all’umanità sofferente dello spagnolo Borondo, e all’iconicità sintetica delle bicromie di Sam 3, anche lui dalla Spagna.
All’urban art Roma ha dedicato anche un museo diffuso, il M.U.Ro, al Quadraro, che nascendo all’interno di un quartiere periferico si propone come agente di riqualificazione urbana. Attribuire significati nuovi agli spazi degradati, introdurre punti di fuga nelle prospettive congestionate, significa restituire i luoghi alle interazoni della comunità, risanare i tessuti sociali, ricostruire le relazioni. Immaginare possibilità diverse di abitare.

Sempre a Roma il progetto Contemporary Times ha trasformato i tram in tele itineranti, sulle quali si sono esercitati alcuni artisti emergenti. L’iniziativa, sostenuta da Unicredit, ha giocato sulla contiguità, e quasi l’omologia, tra tempo e denaro, sempre piú legati l’uno all’altro e insieme immersi in dinamiche contabili. Mentre si offre come veicolo (è il caso di dirlo) della comunicazione d’impresa, l’arte apprende la sua collocazione all’interno delle articolazioni del sistema economico e produttivo. Si trasferisce negli interstizi di spazio e di tempo che si aprono dentro i flussi urbani. Si rende disponibile alla mobilità, sfrutta la pervasività delle connessioni, viaggia insieme alle informazioni e si diluisce nelle dinamiche della comunicazione.

giovedì 26 luglio 2012

La presenza dell’arte: Perugia

Le pratiche artistiche che si inscrivono nei contesti urbani, che riflettono sulla relazione tra l’opera d’arte e l’ambiente, possono dire qualcosa sul presente della città, del quale la presenza dell’arte rivela i punti di tensione. L’arte si colloca dentro la città come ipotesi progettuale. La sua interpretazione dello spazio produce uno scarto rispetto all’esistente urbanistico, e suggerisce modelli di trasformazione.
 

A Perugia il festival Comma ha collocato l’arte nelle pieghe della città. Ha ridisegnato il paesaggio urbano suggerendo la possibilità di nuovi punti di vista. Ha creato una mediazione per consentire al dialogo tra arte e cittadini di evolvere “dal borbottio di scalpore o fastidio fino a un suono intellegibile, coerente con la città e la sua storia, civile e proiettato alla costruzione piú che alla distruzione.” Comma ha inaugurato un progetto permanente, Cap2020, che si propone di “leggere, comprendere e ridefinire la città ridisegnandone i confini culturali e accompagnandone levoluzione e la crescita culturale e sociale”. Ipotizzare tracciati, quindi, secondo il titolo di un workshop che ha trasformato un gruppo di artisti negli architetti di una città sospesa, costruita attraverso l’elaborazione di strategie di intervento collettive, dinamiche, sempre provvisorie perché sempre disponibili alla correzione reciproca.

La presenza dell’arte


Nel 1984 il critico Giulio Carlo Argan, dopo essere stato per tre anni, dal 1976 al 1979, sindaco di Roma, raccoglie una serie di saggi sulle relazioni tra l’arte e i contesti urbani in un libro dal titolo Storia dell’arte come storia della città. Presentando la raccolta Bruno Contardi scrive: “Dalla distinzione di uno spazio, di una forma urbana discende, si genera l’arte, che a sua volta permette di distinguere, di separare: intimamente connessa, quindi, con la città, di cui altro non è che la complessa epifania, il fenomenizzarsi”. La costruzione di una città è il risultato di una techné il cui modello è il processo che realizza l’opera d’arte. I prodotti artistici qualificano una città, le consegnano un’identità che si incide nell’immaginario: a partire dal Medioevo, “si riconoscerebbe la città senza quegli straordinari segni urbani che sono le cattedrali e, piú tardi, senza il monumento che, della città, e della sua storicità, è la piú compiuta rappresentazione?”

L’arte nella visione di Argan nasce in una dimensione pubblica, si afferma come estremo perfezionamento dei saperi di una comunità. Per questo “appare come un’attività tipicamente urbana: e non soltanto inerente, ma costitutiva della città, che infatti è stata considerata per molto tempo [...] l’opera d’arte per antonomasia”. Il significato delle emergenze storiche di una città “consisteva nel fatto che erano là, nella loro realtà fisica, e non già come memorie o segni del passato, ma come un passato rimasto presente, una storia fatta spazio o ambiente concreto della vita.” Dentro la città tutta l’arte è arte contemporanea, perché è una riattivazione del passato nel presente, e aggiunge valore agli atti della vita quotidiana della comunità cittadina.

La città, del resto, non è soltanto quanto è racchiuso dal perimetro delle sue mura, o l’insieme delle sue funzioni istituzionali. Lo spazio urbano è fatto di tutto quanto contribuisce a costruire significati, gli elementi materiali e immateriali, le relazioni, gli eventi, le influenze, i rapporti di forza, i flussi che attraversano i luoghi. Lo spazio urbano “non è fatto soltanto di quello che si vede, ma d’infinite cose che si sanno e ricordano, di notizie. Perfino quando un pittore dipinge un paesaggio naturale, dipinge in realtà uno spazio complementare del proprio spazio urbano”. La città si estende oltre le cose, gli edifici, gli individui che contiene, e diventa un’ipotesi di senso, “l’immagine mentale che ciascuno si fa dello spazio della vita e che, per il medesimo fondo d’esperienza, è la stessa, salvo piccole differenze specifiche, per tutti gli individui dello stesso gruppo.”

La città è una piattaforma che rende possibile l’arte, non soltanto un contenitore di prodotti artistici. Organizzando gli oggetti culturali che la compongono la città diventa essa stessa un’opera d’arte. “La città è intrinsecamente artistica”, scrive Argan: concependola come un’opera unitaria si sta già progettando una città ideale. Ma la città ideale è una tensione che “esiste sempre dentro o sotto la città reale”, e rappresenta “un punto di riferimento rispetto al quale si misurano i problemi della città reale: la quale può senza dubbio concepirsi come un’opera d’arte che nel corso della sua esistenza ha subito modifiche, alterazioni, aggiunte, diminuzioni, deformazioni, talvolta vere e proprie crisi distruttive”. Se la città ideale è una costruzione mentale, un’astrazione, che spazializza il pensiero e visualizza i concetti, la città reale “riflette le difficoltà del fare l’arte e le contrastate circostanze del mondo in cui si fa.” Alla città ideale è riservato un trattamento qualitativo, mentre la città reale è pressata dal problema della quantità. Proprio l’antitesi tra qualità e quantità, che ha sostituito il rapporto proporzionale, genera i piú gravi problemi dell’urbanistica moderna. 

Isolare il centro storico come luogo della qualità assoluta determina squilibri che, mentre scaricano tutte le criticità quantitative sulla città vivente, condannano la città storica alla necrosi. Una conservazione che non include la funzionalità schiaccia la città moderna su un tempo piatto, senza profondità, e contemporaneamente esilia la città antica dal presente. La pianificazione urbana deve pensare uno sviluppo organico e coerente della città, coordinando e integrando le funzioni delle zone antiche e delle zone moderne. L’arte ha il compito di attivare entro gli spazi della città la dinamica storica che rende presente il passato proprio attraverso la presenza parlante dei segni della memoria. La città, come l’arte, è un processo, una pratica permanente, qualcosa che si fa qui e ora. Città e arte condividono questa dimensione del fare all’interno della quale si scambiano soluzioni tecniche e concettuali, in una attribuzione continua, e reciproca, di significati.

“Le tecniche urbane” scrive Argan descrivendo questo intreccio di saperi, “che hanno i loro vertici in quella che fu chiamata l’arte e separata dall’artigianato come suo apice e modello, costituiscono un sistema organico collegato con quello dell’economia e della struttura sociale; queste tecniche, che all’opposto di quelle agricole mutano nei tempi brevi, riflettono una competizione e una volontà  di superamento che sono tipiche delle economie intense, come l’urbana. Non dimentichiamo che in tutta questa fase storica, e specialmente nel Rinascimento, si è ammesso che il progresso delle tecniche urbane, a differenza della lenta mutazione delle tecniche contadine, avvenisse per successive invenzioni, cioè attraverso lo stesso processo mentale che veniva considerato caratteristico dell’arte.”

Attraverso l’arte la città assimila la mutazione delle tecniche, collocandola dentro un sistema che include l’economia e le strutture sociali. L’arte allestisce all’interno della città un laboratorio di invenzione che ha un rapporto osmotico con il contesto urbano. Mentre indaga, critica, descrive lo spazio della città, l’arte lo modifica e ne è modificata.

domenica 15 luglio 2012

Le città eccellenti

Zurigo, Helsinki, Copenaghen, Vienna, Monaco, Melbourne, Tokyo, Sydney, Auckland, Stoccolma, Kyoto, Fukuoka, Hong Kong, Parigi, Singapore, Amburgo, Honolulu, Berlino, Vancouver, Madrid, Barcellona, Portland, San Francisco, Montréal, Ginevra. La lista salmodiata da Giovanni De Mauro su Internazionale rivela impietosamente che non c’è nemmeno una città italiana tra i venticinque centri urbani piú vivibili del mondo, individuati da una ricerca della rivista britannica Monocle. Una “sofferenza urbanistica” che è lo specchio del ritardo progettuale che rallenta l’Italia. Mentre la ripresa economica e il risanamento del tessuto sociale dovrebbero cominciare proprio dalla rigenerazione degli spazi urbani, se è vero, come scrive De Mauro, che “le città vivibili sono una delle migliori risposte alla crisi economica: attirano talenti, sono i motori dei nostri paesi, sono ecosistemi che aiutano la nascita di idee e progetti, sono luoghi di scambio, arricchimento, crescita, sono laboratori e officine”. 

Lo Smart Cities Index elaborato dall’Università di Vienna, citato da Wired di Giugno a corredo di un dossier di approfondimento sulle città intelligenti, individua sei parametri che determinano l’eccellenza degli spazi urbani: dinamismo economico, mobilità efficiente, compatibilità ambientale, politiche di cittadinanza, qualità della vita, governo trasparente. Anche in queste graduatorie, dominate dalle città del Nord Europa, i piazzamenti dell’Italia non sono entusiasmanti. Si salva Trento che, grazie probabilmente alle influenze della cultura nordeuropea, è la  piú quotata delle città italiane.

L’Europa, intanto, sta diventando una rete di città sempre piú interconnesse, che si inscrivono entro un orizzonte comune di ricerca e di progettazione. Un flusso di intelligenza attraversa la mappa del continente contaminando i modelli di sviluppo e favorendo la riproduzione delle soluzioni efficaci. Invece di “uccidere le distanze” e di virtualizzare le esperienze la rete si è affermata come uno strumento di espansione, anziché di compressione, dei luoghi. Le buone pratiche elaborate e potenziate attraverso la tecnologia si riversano negli spazi fisici. E si diffondono secondo le dinamiche di un contagio. A partire da Londra, che ha fatto leva sull’appuntamento olimpico per riqualificare aree dismesse e marginali. E ha costruito intorno alle Olimpiadi un sistema di interventi che distribuisce le risorse economiche e di attenzione anche su eventi satellitari o paralleli, come il London 2012 Festival, quasi un doppio culturale delle Olimpiadi.

Dopo Londra, il manifestarsi del contagio progettuale è atteso a Milano. L’Expo 2015 può diventare un congegno che, anziché divorare risorse e idee, le elabora e le restituisce al territorio producendo strategie permanenti di innovazione e di riqualificazione urbana. I 13 comandamenti che Wired mette a disposizione del contagio ricalcano le 13 aree strategiche di intervento individuate da Andrea Granelli nel suo libro Città intelligenti?. “Una massa di singoli individui – interagendo con i dati e i sensori che stanno già tempestando la griglia della città – sta già producendo ambienti, scambi, prodotti, servizi e modi di comunicare, ovvero una cultura”, scrive Carlo Antonelli. Una cultura diffusa, emergente, la cui capacità di escogitare soluzioni dal basso può essere integrata all’interno di programmi di intervento strutturale.

Il patrimonio culturale dell’Italia, del resto, è fatto anche di una lunga tradizione, che risale all’origine stessa del concetto di città, di idee e di visioni messe al servizio della progettazione urbana. Un patrimonio di saperi teorici e tecnici la cui fama produce paradossi grotteschi: mentre l’Italia arranca nei rating urbanistici, e non riesce a prolungare nel presente la stratificazione intelligente del suo passato, architetti italiani vengono chiamati dall’altra parte del pianeta a progettare città che riproducano gli stili architettonici italiani. Gli architetti di uno studio milanese hanno ricevuto l’incarico di disegnare dal nulla, come in uno spazio bianco, una new town a pochi chilometri da Ulanbaatar, in Mongolia, per decongestionare la pressione antropica che sta soffocando la capitale. Potranno seguire le tracce delle architetture concettuali immaginate da Calvino, le città invisibili che Marco Polo, geografo della mente, ha mostrato a Kublai Kan. Per persuaderlo che l’unica cartografia possibile è quella disegnata dalle aspirazioni dell’uomo: una proiezione spaziale della memoria e del desiderio. Una consapevolezza che anche dalle latitudini estreme percorse da Marco Polo potrebbe tornare a riattivare le competenze necessarie al nostro Paese.


giovedì 12 luglio 2012

La città che produce


Sul numero 1 di “Bari economia & cultura”, trimestrale della Camera di Commercio di Bari, Andrea Granelli ha pubblicato un intervento dal titolo Innovare la città: Bari Smart City. La riflessione teorica sulle città intelligenti deve necessariamente misurarsi con contesti applicativi concreti, e aderisce alle esigenze specifiche dei territori. Alle amministrazioni e agli enti locali, come appunto le Camere di Commercio, è affidato il compito di creare “un’autentica cultura dell’innovazione” capace di trovare una sintesi dinamica tra le potenzialità della tecnologia e i suoi aspetti problematici. È a partire dai territori che è possibile “costruire una visione di sviluppo e soprattutto un progetto politico. Non possiamo piú permetterci di usare male le (nuove) tecnologie e banalizzare l’innovazione”.

Le città d’arte, i luoghi antichi, gli edifici storici devono rifunzionalizzare gli elementi simbolici che le caratterizzano, e creare per il cittadino e per il visitatore esperienze immersive e dense di significati. “Le nostre città d’arte sono veri e propri paesaggi, che propagano la conoscenza mentre vengono visitate e moltiplicano il valore per gli oggetti che contengono. La nostra ricchezza e unicità non sono infatti solo le singole opere d’arte, ma soprattutto il contesto in cui esse sono collocate”.
La cultura può valorizzare, anche economicamente, l’immateriale. Può diventare un vero e proprio “detonatore economico”. A patto che la stratificazione storica non faccia del passato un feticcio da contemplare con nostalgia e reverenza, ma diventi una radice vivificante da reinterpretare anche grazie al contributo progettuale del design. L’antico deve costituire un ponte per la modernità. “Essere stati è condizione per essere” afferma Granelli citando lo storico Fernand Braudel.

Il modello di città intelligente fondato su un’applicazione estesa delle tecnologie digitali, che raccolgono masse di dati e le organizzano per facilitare la comprensione dei fenomeni e la conseguente pianificazione, si concentra sulla disponibilità e l’elaborazione delle informazioni, avanzando un’analogia tra la città e la macchina. Il focus principale è sull’energia e il problema piú urgente è quello dell’inquinamento. Tuttavia Granelli propone di integrare questa visione attraverso strategie di intervento piú organiche e strutturali, che, oltre all’efficienza energetica e alla mobilità sostenibile, determinino la valorizzazione della dimensione storico-artistica delle città, con una compenetrazione tra turismo e cultura, e la progettazione di strumenti di assorbimento della pressione antropica, dovuta al turismo oppure legata ai flussi migratori. Strategie che prevedano il potenziamento dei distretti urbani del commercio e dell’artigianato, integrati dalle soluzioni del commercio digitale, che rendano possibile la gestione del welfare urbano, la convivenza multi-etnica e multi-religiosa, le tematiche nutritive e il kilometro zero alimentare, la gestione efficiente del ciclo dei rifiuti urbani, gli incubatori e i luoghi di lavoro della classe creativa, l’introduzione ponderata dell’eGovernment, il recupero delle aree periferiche e dismesse. “La sfida è che le nuove tecnologie, le nuove metodologie progettuali e i nuovi modelli di business al servizio della città siano davvero in grado – in ultima istanza – di assicurare ai cittadini e ai lavoratori una migliore e sostenibile qualità della vita”. Utilizzare le specificità delle città italiane come elemento progettuale fornisce un’alternativa alle tendenze ipertecnologiche di derivazione statunitense, e potrebbe indicare un modello per i progetti di rigenerazione urbana coordinati a livello europeo, nonché un modo di pensare il ruolo della città valido per tutto il contesto mediterraneo.

Le linee applicative generali possono essere declinate con intensità variabili nell’ambito di situazioni specifiche. Nel caso di Bari Granelli individua elementi qualificanti che potrebbero caratterizzare l’approccio all’innovazione urbana, come la riattivazione del centro storico con tutta la sua complessità sociale, culturale e storico-artistica, o l’individuazione del water front rappresentato dal mare come estensione naturale della città, ricchezza paesaggistica, alimentare, storico-archeologica, energetica, e soprattutto frontiera simbolica, linea di connessione con diversi popoli e culture. La Fiera del Levante è per la città un contenitore edilizio da riattivare e da riemepire di significati nuovi, mentre la figura di San Nicola, simbolo globale che unisce cattolici, ortodossi e protestanti, tocca l’immaginario religioso  e folklorico di moltissime persone. La sua venerazione è meta di pellegrinaggio e occasione per la visita di monumenti di straordinario valore artistico.

L’introduzione di nuove tecnologie e servizi innovativi per la città è condizionata dalla costruzione di un meccanismo partecipato per la progettazione degli interventi, l’identificazione delle aree prioritarie, la definizione dei macrofabbisogni Un processo di co-design, possibile anche grazie ai nuovi strumenti digitali che consentono la progettazione comune, anche a distanza, e una condivisione di informazione e conoscenza facile e strutturata.
Nella visione di Granelli la Camera di Commercio assume un ruolo nodale, e affianca l’Amministrazione comunale nella cabina di regia del processo Smart City. “Nell’ambito del progetto strategico del Ministero dello sviluppo economico le Camere di Commercio possono promuovere nella circoscrizione territoriale di competenza interventi finalizzati alla progettazione, realizzazione e gestione dell’infrastruttura di telecomunicazione a banda larga e ultra larga, favorendo il partenariato pubblico-privato anche attraverso l’investimento di risorse proprie, nell’ottica naturalmente della sussidiarietà e non sovrapposizione col mercato, e nel rispetto delle iniziative di coordinamento esistenti a livello nazionale e regionale”.

Accanto alla “città che consuma” e alla “città da amministrare” è necessario il contributo diretto della città che produce”, legata all’emergenza dell’economia dei servizi – che vale quasi il 70% del Pil – e a una nuova stagione della cultura artigiana, che trasformano la città nel cuore della nuova economia. Un’economia sensibile ai problemi ambientali, che riporta al centro della riflessione le attività di riparazione, manutenzione e rigenerazione, tipiche dell’artigianato, e applicabili all’edilizia, alle nuove tecnologie, ai nuovi materiali. Stefano Micelli, docente di Economia all’Università Ca’ Foscari, individua nella riattivazione delle pratiche artigiane la frontiera verso la quale si muove la ristrutturazione in atto del sistema economico. Uno scenario descritto nel saggio Futuro Artigiano, che si colloca nel solco aperto da Andrea Granelli con il suo  Artigiani del digitale.

L’ascesa della classe creativa, celebrata nel 2003 da un libro di Richard Florida diventato presto cool, include anche il fenomeno dei makers, gli artigiani delle nuove tecnologie che stanno ridisegnando il paesaggio della produzione e del consumo, e ha imposto all’attenzione pubblica il fatto che le città producono ricchezza e, se sono capaci di attrarre talenti e soluzioni innovative, generano benessere sul territorio. Tutto ciò richiede nuove infrastrutture e nuove piattaforme di conoscenza (sia di produzione che di condivisione): è in questo ambito, dunque, che il ruolo della Camera di Commercio (e di tutte le associazioni di categoria che hanno a che fare con l’economia dei servizi) diventa essenziale e deve affiancare – in maniera paritetica e continuativa – il sindaco della città.”

lunedì 2 luglio 2012

L’intelligenza delle cose


Guido Jouret è a capo della divisione “Emerging technologies” di Cisco, un incubatore interno che si occupa di intercettare idee per sviluppare opportunità di business. “Le macchine diventeranno piú intelligenti, saranno in grado di capirci, parleranno le une con le altre”, dice Jouret descrivendo la visione che orienta la ricerca dell’azienda. “Nel frattempo crescerà la nuova era di internet, che dai pc è arrivato ai cellulari, tablet, tv, auto, elettrodomestici; presto connetterà i ponti, le strade, le vie di distribuzione di petrolio, gas e acque”.
L’internet of things, che Jouret definisce “il più grande trend del momento”, è già una realtà, se è vero che il numero di oggetti connessi ha superato quello delle persone con accesso a internet. “Nel 2003 la popolazione mondiale era di 6,3 miliardi, i device connessi 500 milioni. Già nel 2010 erano 12,5 miliardi, saranno 25 miliardi nel 2015 e 50 miliardi nel 2020.”

Il 2020 è anche la data che la Comunità Europea ha individuato per sviluppare il programma dedicato a una crescita economica intelligente, sostenibile e solidale. All’interno del quale si colloca la realizzazione dei primi progetti che riguardano le Smart Cities, ovvero le strategie di applicazione delle tecnologie alla progettazione degli spazi urbani.
Le grandi compagnie dell’Information Technology, come Cisco, provvederanno a disseminare gli spazi pubblici e privati di oggetti intelligenti, connessi, sempre piú potenti nelle loro capacità di interazione con gli individui, di determinazione dei comportamenti, di elaborazione degli algoritmi che orienteranno le decisioni. Tutto ciò che la vertiginosa implementazione delle tecnologie prevista da Cisco non include, tuttavia, è esattamente ciò che manca per rendere gli spazi sociali davvero sostenibili, solidali e abitabili. Ovvero tutte le pratiche di integrazione della tecnologia in grado di dotare le persone degli strumenti necessari per interrogare le macchine, intercettare i flussi di intelligenza, comprendere le informazioni. Soluzioni che possano permettere agli individui di collocare gli oggetti dentro un universo raccontabile, orientato storicamente e culturalmente. Di connettere le esperienze a un regime di senso. Di dare significato all’intelligenza stupida delle cose.