Le
pratiche artistiche che si inscrivono nei contesti urbani, che riflettono sulla
relazione tra l’opera d’arte e l’ambiente, possono dire qualcosa sul presente
della città, del quale la presenza dell’arte rivela i punti di tensione. L’arte
si colloca dentro la città come ipotesi
progettuale. La sua interpretazione dello spazio produce uno scarto
rispetto all’esistente urbanistico, e suggerisce modelli di trasformazione.
A
Berlino si è installato tra le polemiche il Guggenheim Lab, laboratorio
itinerante allestito dalla galleria in collaborazione con l’azienda produttrice
di automobili BMW. Il progetto si propone di indagare le declinazioni del
“benessere”: Confronting Comfort è
il tema che orienta la piattaforma, verso la quale convergeranno idee sulle
trasformazioni delle infrastrutture,
sugli innesti tecnologici nel quotidiano, sulla sostenibilità della vita urbana contemporanea.
Le resistenze opposte dalla cittadinanza e
da alcune forze politiche alla realizzazione del progetto, che rischierebbe di accelerare il processo (probabilmene già compiuto) di gentrificazione del quartiere di Kreuzberg, possono essere respinte per intempestività, ma pongono il problema dei rapporti
di forza tra arte contemporanea, impresa e pianificazione urbana.
Esiste
un conflitto semiotico intorno
all’articolazione della città e dei suoi paesaggi visivi: arte e impresa lo
combattono spesso da alleati. E mentre i colossi dell’industria e dell’art
business cercano insieme soluzioni per razionalizzare lo spazio urbano, un
artista come Robert Montgomery viene incaricato di disseminare nell’area
dell’ex aeroporto di Tempelhof le sue poesie-installazioni.
La parola si dilata fino a diventare elemento figurativo e architettonico, con
l’intenzione di produrre discontinuità, scavare riserve di senso dentro la
semiosi compatta e univoca della città.
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