Le
pratiche artistiche che si inscrivono nei contesti urbani, che riflettono sulla
relazione tra l’opera d’arte e l’ambiente, possono dire qualcosa sul presente
della città, del quale la presenza dell’arte rivela i punti di tensione. L’arte
si colloca dentro la città come ipotesi progettuale. La sua interpretazione
dello spazio produce uno scarto rispetto all’esistente urbanistico, e
suggerisce modelli di trasformazione.
A
Perugia il festival Comma ha collocato l’arte
nelle pieghe della città. Ha ridisegnato il paesaggio urbano
suggerendo la possibilità di nuovi punti di vista. Ha creato una mediazione per consentire al dialogo tra arte e cittadini di evolvere “dal borbottio di scalpore
o fastidio fino a un suono intellegibile, coerente con la città e la sua
storia, civile e proiettato alla costruzione piú che alla distruzione.” Comma ha
inaugurato un progetto permanente, Cap2020, che si propone di “leggere,
comprendere e ridefinire la città ridisegnandone i confini culturali e
accompagnandone l’evoluzione e la crescita culturale e sociale”. Ipotizzare tracciati, quindi, secondo il titolo di un workshop che ha trasformato un gruppo di artisti negli architetti di una città sospesa, costruita attraverso l’elaborazione di strategie di intervento collettive, dinamiche, sempre provvisorie perché sempre disponibili alla correzione reciproca.
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