Zurigo,
Helsinki, Copenaghen, Vienna, Monaco, Melbourne, Tokyo, Sydney, Auckland,
Stoccolma, Kyoto, Fukuoka, Hong Kong, Parigi, Singapore, Amburgo, Honolulu,
Berlino, Vancouver, Madrid, Barcellona, Portland, San Francisco, Montréal,
Ginevra. La lista salmodiata da Giovanni De Mauro su Internazionale rivela
impietosamente che non c’è nemmeno una città italiana tra i venticinque centri
urbani piú vivibili del mondo, individuati da una ricerca della rivista
britannica Monocle. Una “sofferenza urbanistica” che è lo specchio del ritardo
progettuale che rallenta l’Italia. Mentre la ripresa economica e il risanamento
del tessuto sociale dovrebbero cominciare proprio dalla rigenerazione degli
spazi urbani, se è vero, come scrive De Mauro, che “le città vivibili sono una
delle migliori risposte alla crisi economica: attirano talenti, sono i motori
dei nostri paesi, sono ecosistemi che aiutano la nascita di idee e progetti,
sono luoghi di scambio, arricchimento, crescita, sono laboratori e officine”.
Lo
Smart Cities Index elaborato dall’Università di Vienna, citato da Wired di Giugno a corredo di un dossier di approfondimento sulle città intelligenti,
individua sei parametri che determinano l’eccellenza degli spazi urbani: dinamismo
economico, mobilità efficiente, compatibilità ambientale, politiche di cittadinanza,
qualità della vita, governo trasparente. Anche in queste graduatorie, dominate
dalle città del Nord Europa, i piazzamenti dell’Italia non sono entusiasmanti. Si salva Trento che, grazie probabilmente alle influenze della cultura nordeuropea, è la
piú quotata delle città
italiane.
L’Europa,
intanto, sta diventando una rete di città sempre piú interconnesse, che si
inscrivono entro un orizzonte comune di ricerca e di progettazione. Un flusso
di intelligenza attraversa la mappa del continente contaminando i modelli di
sviluppo e favorendo la riproduzione delle soluzioni efficaci. Invece di
“uccidere le distanze” e di virtualizzare le esperienze la rete si è affermata
come uno strumento di espansione, anziché di compressione, dei luoghi. Le buone
pratiche elaborate e potenziate attraverso la tecnologia si riversano negli
spazi fisici. E si diffondono secondo le dinamiche di un contagio. A partire da
Londra, che ha fatto leva sull’appuntamento olimpico per riqualificare aree
dismesse e marginali. E ha costruito intorno alle Olimpiadi un sistema di
interventi che distribuisce le risorse economiche e di attenzione anche su
eventi satellitari o paralleli, come il London 2012 Festival, quasi un doppio
culturale delle Olimpiadi.
Dopo
Londra, il manifestarsi del contagio progettuale è atteso a Milano. L’Expo 2015
può diventare un congegno che, anziché divorare risorse e idee, le elabora e le
restituisce al territorio producendo strategie permanenti di innovazione e di
riqualificazione urbana. I 13 comandamenti che Wired mette a disposizione del
contagio ricalcano le 13 aree strategiche di intervento individuate da Andrea
Granelli nel suo libro Città intelligenti?. “Una massa di singoli individui –
interagendo con i dati e i sensori che stanno già tempestando la griglia della
città – sta già producendo ambienti, scambi, prodotti, servizi e modi di
comunicare, ovvero una cultura”, scrive Carlo Antonelli. Una cultura diffusa,
emergente, la cui capacità di escogitare soluzioni dal basso può
essere integrata all’interno di programmi di intervento strutturale.
Il
patrimonio culturale dell’Italia, del resto, è fatto anche di una lunga
tradizione, che risale all’origine stessa del concetto di città, di idee e di
visioni messe al servizio della progettazione urbana. Un patrimonio di saperi teorici e tecnici la cui fama produce paradossi grotteschi: mentre l’Italia arranca nei rating
urbanistici, e non riesce a prolungare nel presente la stratificazione
intelligente del suo passato, architetti italiani vengono chiamati dall’altra
parte del pianeta a progettare città che riproducano gli stili
architettonici italiani. Gli architetti di uno studio milanese hanno ricevuto
l’incarico di disegnare dal nulla, come in uno spazio bianco, una new town a pochi chilometri da
Ulanbaatar, in Mongolia, per decongestionare la pressione antropica che sta
soffocando la capitale. Potranno seguire le tracce delle architetture concettuali
immaginate da Calvino, le città
invisibili che Marco Polo, geografo della mente, ha mostrato a Kublai Kan.
Per persuaderlo che l’unica cartografia possibile è quella disegnata dalle
aspirazioni dell’uomo: una proiezione spaziale della memoria e del desiderio. Una consapevolezza che anche dalle latitudini estreme percorse da Marco Polo potrebbe tornare a riattivare le competenze necessarie al nostro Paese.
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