domenica 15 luglio 2012

Le città eccellenti

Zurigo, Helsinki, Copenaghen, Vienna, Monaco, Melbourne, Tokyo, Sydney, Auckland, Stoccolma, Kyoto, Fukuoka, Hong Kong, Parigi, Singapore, Amburgo, Honolulu, Berlino, Vancouver, Madrid, Barcellona, Portland, San Francisco, Montréal, Ginevra. La lista salmodiata da Giovanni De Mauro su Internazionale rivela impietosamente che non c’è nemmeno una città italiana tra i venticinque centri urbani piú vivibili del mondo, individuati da una ricerca della rivista britannica Monocle. Una “sofferenza urbanistica” che è lo specchio del ritardo progettuale che rallenta l’Italia. Mentre la ripresa economica e il risanamento del tessuto sociale dovrebbero cominciare proprio dalla rigenerazione degli spazi urbani, se è vero, come scrive De Mauro, che “le città vivibili sono una delle migliori risposte alla crisi economica: attirano talenti, sono i motori dei nostri paesi, sono ecosistemi che aiutano la nascita di idee e progetti, sono luoghi di scambio, arricchimento, crescita, sono laboratori e officine”. 

Lo Smart Cities Index elaborato dall’Università di Vienna, citato da Wired di Giugno a corredo di un dossier di approfondimento sulle città intelligenti, individua sei parametri che determinano l’eccellenza degli spazi urbani: dinamismo economico, mobilità efficiente, compatibilità ambientale, politiche di cittadinanza, qualità della vita, governo trasparente. Anche in queste graduatorie, dominate dalle città del Nord Europa, i piazzamenti dell’Italia non sono entusiasmanti. Si salva Trento che, grazie probabilmente alle influenze della cultura nordeuropea, è la  piú quotata delle città italiane.

L’Europa, intanto, sta diventando una rete di città sempre piú interconnesse, che si inscrivono entro un orizzonte comune di ricerca e di progettazione. Un flusso di intelligenza attraversa la mappa del continente contaminando i modelli di sviluppo e favorendo la riproduzione delle soluzioni efficaci. Invece di “uccidere le distanze” e di virtualizzare le esperienze la rete si è affermata come uno strumento di espansione, anziché di compressione, dei luoghi. Le buone pratiche elaborate e potenziate attraverso la tecnologia si riversano negli spazi fisici. E si diffondono secondo le dinamiche di un contagio. A partire da Londra, che ha fatto leva sull’appuntamento olimpico per riqualificare aree dismesse e marginali. E ha costruito intorno alle Olimpiadi un sistema di interventi che distribuisce le risorse economiche e di attenzione anche su eventi satellitari o paralleli, come il London 2012 Festival, quasi un doppio culturale delle Olimpiadi.

Dopo Londra, il manifestarsi del contagio progettuale è atteso a Milano. L’Expo 2015 può diventare un congegno che, anziché divorare risorse e idee, le elabora e le restituisce al territorio producendo strategie permanenti di innovazione e di riqualificazione urbana. I 13 comandamenti che Wired mette a disposizione del contagio ricalcano le 13 aree strategiche di intervento individuate da Andrea Granelli nel suo libro Città intelligenti?. “Una massa di singoli individui – interagendo con i dati e i sensori che stanno già tempestando la griglia della città – sta già producendo ambienti, scambi, prodotti, servizi e modi di comunicare, ovvero una cultura”, scrive Carlo Antonelli. Una cultura diffusa, emergente, la cui capacità di escogitare soluzioni dal basso può essere integrata all’interno di programmi di intervento strutturale.

Il patrimonio culturale dell’Italia, del resto, è fatto anche di una lunga tradizione, che risale all’origine stessa del concetto di città, di idee e di visioni messe al servizio della progettazione urbana. Un patrimonio di saperi teorici e tecnici la cui fama produce paradossi grotteschi: mentre l’Italia arranca nei rating urbanistici, e non riesce a prolungare nel presente la stratificazione intelligente del suo passato, architetti italiani vengono chiamati dall’altra parte del pianeta a progettare città che riproducano gli stili architettonici italiani. Gli architetti di uno studio milanese hanno ricevuto l’incarico di disegnare dal nulla, come in uno spazio bianco, una new town a pochi chilometri da Ulanbaatar, in Mongolia, per decongestionare la pressione antropica che sta soffocando la capitale. Potranno seguire le tracce delle architetture concettuali immaginate da Calvino, le città invisibili che Marco Polo, geografo della mente, ha mostrato a Kublai Kan. Per persuaderlo che l’unica cartografia possibile è quella disegnata dalle aspirazioni dell’uomo: una proiezione spaziale della memoria e del desiderio. Una consapevolezza che anche dalle latitudini estreme percorse da Marco Polo potrebbe tornare a riattivare le competenze necessarie al nostro Paese.


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