giovedì 26 luglio 2012

La presenza dell’arte


Nel 1984 il critico Giulio Carlo Argan, dopo essere stato per tre anni, dal 1976 al 1979, sindaco di Roma, raccoglie una serie di saggi sulle relazioni tra l’arte e i contesti urbani in un libro dal titolo Storia dell’arte come storia della città. Presentando la raccolta Bruno Contardi scrive: “Dalla distinzione di uno spazio, di una forma urbana discende, si genera l’arte, che a sua volta permette di distinguere, di separare: intimamente connessa, quindi, con la città, di cui altro non è che la complessa epifania, il fenomenizzarsi”. La costruzione di una città è il risultato di una techné il cui modello è il processo che realizza l’opera d’arte. I prodotti artistici qualificano una città, le consegnano un’identità che si incide nell’immaginario: a partire dal Medioevo, “si riconoscerebbe la città senza quegli straordinari segni urbani che sono le cattedrali e, piú tardi, senza il monumento che, della città, e della sua storicità, è la piú compiuta rappresentazione?”

L’arte nella visione di Argan nasce in una dimensione pubblica, si afferma come estremo perfezionamento dei saperi di una comunità. Per questo “appare come un’attività tipicamente urbana: e non soltanto inerente, ma costitutiva della città, che infatti è stata considerata per molto tempo [...] l’opera d’arte per antonomasia”. Il significato delle emergenze storiche di una città “consisteva nel fatto che erano là, nella loro realtà fisica, e non già come memorie o segni del passato, ma come un passato rimasto presente, una storia fatta spazio o ambiente concreto della vita.” Dentro la città tutta l’arte è arte contemporanea, perché è una riattivazione del passato nel presente, e aggiunge valore agli atti della vita quotidiana della comunità cittadina.

La città, del resto, non è soltanto quanto è racchiuso dal perimetro delle sue mura, o l’insieme delle sue funzioni istituzionali. Lo spazio urbano è fatto di tutto quanto contribuisce a costruire significati, gli elementi materiali e immateriali, le relazioni, gli eventi, le influenze, i rapporti di forza, i flussi che attraversano i luoghi. Lo spazio urbano “non è fatto soltanto di quello che si vede, ma d’infinite cose che si sanno e ricordano, di notizie. Perfino quando un pittore dipinge un paesaggio naturale, dipinge in realtà uno spazio complementare del proprio spazio urbano”. La città si estende oltre le cose, gli edifici, gli individui che contiene, e diventa un’ipotesi di senso, “l’immagine mentale che ciascuno si fa dello spazio della vita e che, per il medesimo fondo d’esperienza, è la stessa, salvo piccole differenze specifiche, per tutti gli individui dello stesso gruppo.”

La città è una piattaforma che rende possibile l’arte, non soltanto un contenitore di prodotti artistici. Organizzando gli oggetti culturali che la compongono la città diventa essa stessa un’opera d’arte. “La città è intrinsecamente artistica”, scrive Argan: concependola come un’opera unitaria si sta già progettando una città ideale. Ma la città ideale è una tensione che “esiste sempre dentro o sotto la città reale”, e rappresenta “un punto di riferimento rispetto al quale si misurano i problemi della città reale: la quale può senza dubbio concepirsi come un’opera d’arte che nel corso della sua esistenza ha subito modifiche, alterazioni, aggiunte, diminuzioni, deformazioni, talvolta vere e proprie crisi distruttive”. Se la città ideale è una costruzione mentale, un’astrazione, che spazializza il pensiero e visualizza i concetti, la città reale “riflette le difficoltà del fare l’arte e le contrastate circostanze del mondo in cui si fa.” Alla città ideale è riservato un trattamento qualitativo, mentre la città reale è pressata dal problema della quantità. Proprio l’antitesi tra qualità e quantità, che ha sostituito il rapporto proporzionale, genera i piú gravi problemi dell’urbanistica moderna. 

Isolare il centro storico come luogo della qualità assoluta determina squilibri che, mentre scaricano tutte le criticità quantitative sulla città vivente, condannano la città storica alla necrosi. Una conservazione che non include la funzionalità schiaccia la città moderna su un tempo piatto, senza profondità, e contemporaneamente esilia la città antica dal presente. La pianificazione urbana deve pensare uno sviluppo organico e coerente della città, coordinando e integrando le funzioni delle zone antiche e delle zone moderne. L’arte ha il compito di attivare entro gli spazi della città la dinamica storica che rende presente il passato proprio attraverso la presenza parlante dei segni della memoria. La città, come l’arte, è un processo, una pratica permanente, qualcosa che si fa qui e ora. Città e arte condividono questa dimensione del fare all’interno della quale si scambiano soluzioni tecniche e concettuali, in una attribuzione continua, e reciproca, di significati.

“Le tecniche urbane” scrive Argan descrivendo questo intreccio di saperi, “che hanno i loro vertici in quella che fu chiamata l’arte e separata dall’artigianato come suo apice e modello, costituiscono un sistema organico collegato con quello dell’economia e della struttura sociale; queste tecniche, che all’opposto di quelle agricole mutano nei tempi brevi, riflettono una competizione e una volontà  di superamento che sono tipiche delle economie intense, come l’urbana. Non dimentichiamo che in tutta questa fase storica, e specialmente nel Rinascimento, si è ammesso che il progresso delle tecniche urbane, a differenza della lenta mutazione delle tecniche contadine, avvenisse per successive invenzioni, cioè attraverso lo stesso processo mentale che veniva considerato caratteristico dell’arte.”

Attraverso l’arte la città assimila la mutazione delle tecniche, collocandola dentro un sistema che include l’economia e le strutture sociali. L’arte allestisce all’interno della città un laboratorio di invenzione che ha un rapporto osmotico con il contesto urbano. Mentre indaga, critica, descrive lo spazio della città, l’arte lo modifica e ne è modificata.

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