venerdì 31 agosto 2012

Educare (al)l’economia


La città può diventare lo spazio di un’immersione formativa nei contesti che determinano le tensioni piú urgenti, e feconde, del presente. Il sindaco di Vienna Helmut Zilk, scrive Flavia Foradini, ha pensato negli anni Ottanta di “trasformare il municipio di Vienna e il piccolo parco antistante in un potente magnete che richiamasse la popolazione verso il cuore del governo della capitale e abbassasse le barriere tra politica e società civile.” Da allora la città ha promosso una catena ininterrotta di iniziative per sviluppare la cultura della partecipazione. Attualmente, durante l’estate, gli spazi del municipio ospitano la Kinderstadt, una città governata dai bambini. Un laboratorio che permette ai bambini fino ai 13 anni di giocare alla democrazia, misurandosi con la creazione delle istituzioni politiche, con i problemi del lavoro, con la gestione della spesa pubblica e privata, con le contraddizioni del sistema fiscale. La città dei bambini attraversa crisi non dissimili da quelle che preoccupano gli adulti. E i legislatori rispondono con interventi di regolamentazione dell’economia e di redistribuzione delle risorse. Ogni giorno viene eletto un nuovo sindaco, al termine di regolari campagne elettorali incardinate su programmi dominati dalla pervasività dei temi economici.

L’educazione all’economia si sta imponendo come una priorità per l’accesso alle dinamiche della cittadinanza. Sottrarre il pensiero economico alla metafisica gergale, all’inviolabilità delle sue parole d’ordine, per restituirlo alla dimensione “commensurabile” dell’esistenza quotidiana, sta diventando un’emergenza democratica. Rendere accessibili le parole e gli oggetti del discorso economico, per garantire ai cittadini la possibilità di condividerne e comprenderne le pratiche. È sempre piú urgente individuare funzioni di mediazione in grado di fare “dell’etica e dell’economia un unico campo d’indagine”, come scrive Armando Massarenti sulla Domenica de “Il Sole 24 Ore” citando il Nobel per l’economia Reinhard Selten. Selten è stato con Vernon Smith uno dei pionieri dell’economia sperimentale, un approccio che ha dimostrato empiricamente l’inefficienza degli oligopoli o il funzionamento dei meccanismi che creano le bolle finanziarie. Simili elementi pragmatici e sperimentali Massarenti individua nel progetto del Mide, Museo interattivo di economia di Città del Messico, nato sul modello del museo newyorchese dedicato alla finanza, cui si ispirerà il Museo del Risparmio di Torino. Il Mide ha tra i suoi obiettivi proprio quello di “promuovere la pubblica comprensione della scienza economica.” Il percorso didattico, fatto soprattutto di attività interattive, permette di avvicinare i problemi economici attraverso l’esperienza diretta dei processi che li determinano. Le simulazioni mettono gli utenti di fronte ai meccanismi decisionali e alla complessità delle scelte. Una sala permanente è dedicata a “sviluppo sostenibile, economia, società e natura.” Qui il coinvolgimento interattivo porta il visitatore nel nucleo del legame tra economia ed etica, generando “una maggiore consapevolezza dei costi sociali e ambientali dello sviluppo e dell’importanza cruciale di ricerca e innovazione”, e affermando l’urgenza e l’utilità dei “meccanismi che mescolano sapientemente cooperazione e competizione.”

lunedì 27 agosto 2012

Sviluppo della differenza


Sulle agende per lo sviluppo il dibattito pubblico vivacchia, e piú spesso muore. In un orizzonte politico asfittico, colpevolmente appiattito sulle strettoie dell’adesso, è troppo raro trovare linee di indirizzo che rispondano a una visione. Il ricatto emergenziale della crisi permanente soffoca le esigenze progettuali. Eppure anche nell’inerzia delle risposte urgenti, immediate, sembrano imporsi scelte che si presentano con la forza della necessità. Il dossier sullo sviluppo presentato dal ministro Passera mette al primo punto dell’ordine del giorno l’implementazione delle infrastrutture e delle pratiche digitali, attraverso la creazione di una cabina di regia interministeriale e la nascita dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Tra gli obiettivi prinicpali l’azzeramento del digital divide, lo sviluppo del commercio elettronico, l’alfabetizzazione digitale, la digitalizzazione dei rapporti con la pubblica amministrazione, l’uso della digitalizzazione come motore di innovazione trasversale, lo sviluppo di progettualità “smart”. Strategie di intervento che consuonano con quelle individuate dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo nella sua prefazione al libro di Andrea Granelli Città intelligenti? Per una via italiana alle Smart Cities. “La città intelligente”, scrive Profumo, “è la proiezione astratta di un’idea di città del futuro, riconducibile a un perimetro applicativo e concettuale che racchiude un ampio fascio di applicazioni e verticalizzazioni, cosí come diversi sono i domini cui appartengono le tecnologie che concorreranno alla sua realizzazione [...] Al centro della sfida vi è la costruzione di un nuovo genere di bene comune, una grande infrastruttura tecnologica e immateriale che faccia dialogare persone e oggetti, integrando informazioni e generando intelligenza, producendo inclusione e migliorando il nostro vivere quotidiano.” Il programma presentato da Passera è vincolato alla disponibilità di finanziamenti, per circa 450 milioni di euro, che sono “ancora da reperire”. Ma quello che piú conta, oltre alla reperibilità delle risorse essenziali, è che gli interventi vengano inquadrati nel contesto di una progettazione organica, che si dia l’obiettivo di sviluppare, prima ancora che gli strumenti e gli ambienti, una cultura diffusa dell’innovazione, dello scarto rispetto all’esistente, della produzione della differenza.

venerdì 24 agosto 2012

La presenza dell’arte: Spoleto


Le pratiche artistiche che si inscrivono nei contesti urbani, che riflettono sulla relazione tra l’opera d’arte e l’ambiente, possono dire qualcosa sul presente della città, del quale la presenza dell’arte rivela i punti di tensione. L’arte si colloca dentro la città come ipotesi progettuale. La sua interpretazione dello spazio produce uno scarto rispetto all’esistente urbanistico, e suggerisce modelli di trasformazione.


Una mostra può diventare la mappa culturale di una città. Soprattutto se il percorso espositivo è dislocato attraverso lo spazio urbano. La mostra Sculture in città del 1962, ideata da Giovanni Carandente, disseminava nel contesto stratificato della città di Spoleto la ricerca piú avanzata dell’arte contemporanea di allora. Sculture di Consagra, Pomodoro, Calder, Pepper, Chillida, Fontana, Manzù, Moore, Paolozzi, Somaini si misuravano con le prospettive “ancronistiche” dello scenario cittadino. Introducendo nuove possibilità di visione e un’esperienza dell’arte che forzava i confini imposti dalla fruizione museale. La mostra ha inciso nella città e nel sistema dell’arte una traccia storica che si è sedimentata e oggi, a cinquant’anni di distanza, viene ripercorsa e riattivata. Alcune delle sculture del 1962 tornano al loro posto, dialogando con cinquanta scultori italiani delle ultime generazioni, che sovrappongono una nuova cartografia espositiva a quella d’allora, e riflettono sulle evoluzioni dei materiali, quindi dei significati, della scultura.

+50 Sculture in città aggiorna l’intuizione di Giovanni Carandente: mettere in tensione lo spessore storico della città e le dinamiche attuali. La prosecuzione del racconto iniziato nel 1962 attiva “diversi presenti”, mette a confronto diverse fasi del contemporaneo, collegandole per mezzo dello spazio in una simultaneità che non cancella la profondità temporale, e tenta il paradosso di ripetere una mostra irripetibile. Il curatore della mostra, direttore di Palazzo Collicola, Gianluca Marziani, descrive l’operazione come “una piattaforma con porte d’accesso laterali e due varchi principali: uno per alimentare il passato con la ricollocazione di alcune opere del 1962, la creazione di un archivio, la realizzazione di una mappatura del 1962 tramite totem fotografici nei luoghi in cui si trovavano le opere, l’altro per elaborare il presente attraverso la mostra estiva, il grande catalogo in preparazione, gli eventi collaterali previsti fino alla fine di ottobre, un convegno autunnale sulla scultura e nuove sinergie sul territorio.” Rifiutando di collaborare con Vittorio Sgarbi, per difendere, dice, l’autonomia filologica del progetto, Marziani ha coordinato intervento pubblico e sostegno privato, con l’obiettivo di ottimizzare le risorse e puntare alla creazione di un laboratorio permanente e di un format ripetibile, che possa “rendere l’intera città un museo diffuso dove tutto abbia un senso, dove ogni opera dialoghi con quel contesto, dove le sculture possano creare simbologie non solo estetiche”.

martedì 21 agosto 2012

Culture dal sottosuolo


Il progetto Contemporary Times, a Roma, ha mostrato, seppure in modo episodico, una possibilità per l’arte di collocarsi all’interno dei flussi urbani. Ha indicato la prospettiva di arricchire attraverso tracce culturali gli snodi delle articolazioni produttive, gli interstizi di tempo e di spazio che si aprono dentro i grandi movimenti di merci, informazioni, individui, segni. 


Sfruttando l’eccezionalità della sua architettura la metropolitana di Mosca si apre frequentemente a eventi e incontri culturali. Dal 1 giugno 2007 attraverso la rete metropolitana moscovita circola Akbarel, un convoglio trasformato in una galleria d’arte in movimento, e da poco istituito come spazio espositivo permanente. Espone opere di artisti del XVIII, XIX e XX secolo, percorrendo ininterrottamente una rete attraversata ogni giorno da una media di 6,6 milioni di persone: vera e propria città sotterranea, specchio e inconscio della città emersa.   

Anche New York indaga attraverso la pratica artistica il proprio inconscio urbanistico: The underground: notes è un progetto di produzione cinematografica indipendente che assume la metropolitana come set e insieme come serbatoio di significati. In fuga dalle inerzie economiche e progettuali del mainstream un collettivo di registi e attori trentenni ha deciso di lavorare su produzioni a basso costo e a elevata agilità realizzativa, secondo programmi di lavorazione serrati e vincolati da scadenze rigorose. Ogni due settimane una storia, pensata e girata dentro la precarietà e la frenesia dei ritmi urbani. Ricavando intervalli di senso nel flusso anonimo della subway, infrastruttura che pompa linfa umana nelle vene della città, ma anche luogo di residui, scarti, smarrimenti, alienazioni. “Per ora siamo concentrati sulla produzione” dice uno dei componenti del gruppo, “ma vorremmo creare un network internazionale con gruppi simili al nostro nelle principali città del mondo.” Un’operazione che permetterebbe di tracciare una cartografia sotterranea delle città, costruita catturando frammenti di esistenza altrimenti assorbiti dall’informe del magma urbano.

venerdì 17 agosto 2012

La presenza dell’arte: L’Aquila


Le pratiche artistiche che si inscrivono nei contesti urbani, che riflettono sulla relazione tra l’opera d’arte e l’ambiente, possono dire qualcosa sul presente della città, del quale la presenza dell’arte rivela i punti di tensione. L’arte si colloca dentro la città come ipotesi progettuale. La sua interpretazione dello spazio produce uno scarto rispetto all’esistente urbanistico, e suggerisce modelli di trasformazione.

Sospesa nel limbo di una ricostruzione che probabilmente, nella sostanza progettuale, non è mai cominciata, L’Aquila cerca di suturare i tessuti urbani e sociali ricorrendo alle arti figurative e alla poesia. Poesia di strada in realtà aumentata è una mostra che “espone”, disseminandole nello spazio della città, installazioni artistiche virtuali accessibili attraverso dispositivi mobili, sovrapponendo al significato dei luoghi fisici quello di luoghi della mente che aumentano la realtà e potenziano le facoltà percettive. Le lacerazioni della città diventano fessure per accedere a un’altra dimensione, dentro un impasto di tracce materiali e segni della cultura. Per spingere lo sguardo oltre la superficie delle cose, visualizzando una possibilità di ricostruzione che non riguardi soltanto gli edifici.

All’ordine delle possibilità, alla ricostruzione come auspicio allude anche l’auditorium provvisorio costruito a L’Aquila da Renzo Piano. Progettata completamente in legno (lo stesso legno usato per la fabbricazione dei violini Stradivari), concepita come intervento reversibile, la struttura si colloca nel Parco del Forte spagnolo, e dovrebbe essere dismessa quando il vecchio auditorium del Forte sarà rimesso in funzione. Anche se la città potrebbe scegliere di mantenerla e di “raddoppiare” simbolicamente lo spazio. L’auditorium di Piano è anch’esso una realtà aumentata: afferma un’intenzione, indica una direzione, integra la necessità di recuperare ciò che è stato con l’opportunità di immaginare ciò che potrebbe essere.

L’urgenza di progettare la ricostruzione sarà il tema fondamentale degli Stati generali dei Beni Culturali: L’Aquila7 ottobre – storici dell’arte e ricostruzione civile, un’iniziativa autoconvocata dagli operatori del settore con l’obiettivo di coinvolgere le istituzioni e richiamare l’attenzione sulle responsabilità che scaturiscono dall’articolo 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. 
Lo stato terribile dell’Aquila”, si legge nel comunicato dei promotori, “divisa tra monumenti annullati e new towns di cemento, è una metafora perfetta di un Paese che affianca all’inarrestabile stupro edilizio del territorio la distruzione, l’alienazione, la banalizzazione del patrimonio storico monumentale, condannando cosí all’abbrutimento morale e civile le prossime generazioni.”

martedì 14 agosto 2012

La morte a Venezia?


“C’è una nuova moda tra i potenti”, ha scritto Salvatore Settis il 31 luglio su Repubblica: “profanare Venezia”. Il profilo urbano descrive l’andamento dei conflitti che determinano l’esistenza di una città. I processi di appropriazione della città come spazio simbolico, secondo l’accusa di Settis, stanno producendo a Venezia lacerazioni violente e prepotenti discontinuità, affermando la sopraffazione del presente, e delle sue esigenze meno lungimiranti, sul passato e sulla profondità storica. Venezia viene oltraggiata dalle enormi navi che si insinuano nella laguna a beneficio dei turisti. Il Fondaco dei Tedeschi, acquistato da Benetton, viene stravolto non tanto nella sua destinazione (commerciale da secoli), ma nel significato della sua architettura: Rem Koolhas, architetto incaricato della ristrutturazione, forza programmaticamente il contesto per affermare l’emergenza del moderno. Infine, il progetto dell’imprenditore Pierre Cardin per Marghera: un Palais Lumière alto 250 metri, per una superficie totale di 175.000 metri quadrati, tre torri intrecciate per 60 piani abitabili, destinato a ospitare un’università della moda, e poi alberghi, ristoranti, appartamenti, centri congressi, impianti sportivi. Una torre babelica, secondo Settis, che sovrasterebbe di 140 metri il campanile di San Marco, incidendo violentemente lo skyline della città.
A Settis non sfugge l’opportunità, implicita nel progetto, di risanare un’area industriale disagiata e dismessa, eppure si chiede perché le amministrazioni non accordino la priorità a disegni meno invasivi. Rispondendosi apoditticamente: “in tutti questi casi, oltraggiare Venezia non è una conseguenza non prevista, ma il cuore del progetto.” È una violazione simbolica, un’affermazione della potenza del contemporaneo e delle sue capacità di rottura. Un’umiliazione che il presente vuole infliggere al passato. Un ricatto che l’economia impone alla politica, al pubblico e ai suoi vincoli di legalità, assecondando un processo di privatizzazione della città in cui emergono gli istinti anarchici e antisociali del tardo capitalismo.  


Una recente tentazione dell’altezza sembra attraversare l’Italia, terra di campanili che non hanno ancora fatto posto ai grattacieli. Torino, Milano, Bologna, Savona, Venezia: un rincorrersi verticale che riproduce la corsa medievale alla rappresentazione del potere attraverso le torri. Nel Novecento la vertigine verticale ha guidato l’architettura all’inizio e alla fine del secolo, dicendo il sogno di dismisura del capitalismo e la sua vocazione fallica. Il trauma dell’11 settembre e i dissesti economici coi quali si è aperto il nuovo millennio sembravano suggerire un ripensamento in senso orizzontale degli spazi e dell’organizzazione sociale. Ma gli “strattoni” prodotti dal capitalismo per uscire da una delle sue involuzioni di sistema passano forse anche attraverso uno slancio verticale, una nuova affermazione d’altezza che respinge in basso le richieste di riforme strutturali.

Del resto, ammonisce Luca Nannipieri, non c’è trasformazione possibile senza infrangere i vincoli dell’esistente. Non c’è futuro senza fluidificazione del presente, e riscrittura del passato. Gli allarmi dei conservatori sono azioni “a difesa di tutto quello che è e che tale deve restare”. Politiche di “opprimente e deprimente” tutela che finiscono per mummificare l’Italia. “Da sempre le città sono realtà trasformate e da trasformare. Da sempre i loro confini, le loro identità, le loro mura, i loro palazzi, i loro perimetri sono stati ridiscussi, abbattuti, ritrascritti, riveduti, perché non esiste una conservazione che si antepone alla vita, se non a patto di sopprimerla, di renderla irrespirabile, appunto mummificata. Le bellezze sono da sempre bellezze contese, comprate, vendute, contrattualizzate, oggetto di affari, profitti, guadagni, perché dove non ci sono guadagni e profitti non c’è attività umana.”
Ogni città modifica continuamente il proprio presente, ridefinendo le forme che lo descrivono. Bloccare questo processo significa svuotare le città del proprio significato, separarle dal flusso dell’attività umana. “Tutte le piú grandi città sono diventate piú affascinanti e moderne dopo che vi sono state costruite opere disturbanti, che rompevano la visione ormai acquisita degli spazi.” La ridefinizione attiva degli spazi urbani passa anche attraverso la loro improvvisa, spesso violenta, “profanazione”. Che è profonazione soltanto del nostro “eccesso di quiete nella comprensione del passato e del presente”.


La sostenibilità degli interventi architettonici è una contrattazione sul confine instabile tra esigenze di tutela e necessità di rinnovamento. “Spesso l’architettura che fa pensare rinuncia a costruire”, dice Gianni Pettena, artista “architettonico” che riflette sul nesso tra sostenibilità e reversibilità degli interventi. Non sempre la reversibilità coincide con la sostenibilità. L’arte è spesso irreversibile in quanto si inserisce in “un contesto che viene visivamente modificato e concettualmente sviluppato”. Senza modificazione visiva e sviluppo concettuale non si dà intervento artistico. “Non è solamente importante la conservazione del contesto, ma anche la traccia della sua modifica attraverso l’accentuazione della qualità dell’esistente.” Con la sua opera Ice house I Pettena ha congelato un edificio scolastico dismesso, creando una metafora della sostenibilità architettonica, sperimentando un intervento capace di modificare, e rivitalizzare, senza stravolgere destinazioni e significati. “La sostenibilità non dice mai di no”: cerca invece di affermare, “attraverso il coinvolgimento di critici e di competenze collettive”, la possibilità degli uomini di incidere “il proprio segno nel mondo” senza distruggere o impoverire i contesti.