Le pratiche artistiche che
si inscrivono nei contesti urbani, che riflettono sulla relazione tra l’opera
d’arte e l’ambiente, possono dire qualcosa sul presente della città, del quale
la presenza dell’arte rivela i punti di tensione. L’arte si colloca dentro la
città come ipotesi progettuale. La
sua interpretazione dello spazio produce uno scarto rispetto all’esistente
urbanistico, e suggerisce modelli di trasformazione.
Una
mostra può diventare la mappa culturale
di una città. Soprattutto se il percorso espositivo è dislocato attraverso lo
spazio urbano. La mostra Sculture in
città del 1962, ideata da Giovanni Carandente, disseminava nel contesto
stratificato della città di Spoleto la ricerca piú avanzata dell’arte contemporanea
di allora. Sculture di Consagra, Pomodoro, Calder, Pepper, Chillida, Fontana,
Manzù, Moore, Paolozzi, Somaini si misuravano con le prospettive “ancronistiche”
dello scenario cittadino. Introducendo nuove
possibilità di visione e un’esperienza dell’arte che forzava i confini
imposti dalla fruizione museale. La mostra ha inciso nella città e nel sistema
dell’arte una traccia storica che si
è sedimentata e oggi, a cinquant’anni di distanza, viene ripercorsa e riattivata. Alcune delle sculture del 1962 tornano al loro posto, dialogando con cinquanta scultori italiani delle ultime generazioni, che
sovrappongono una nuova cartografia
espositiva a quella d’allora, e riflettono sulle evoluzioni dei materiali,
quindi dei significati, della scultura.
+50 Sculture in città aggiorna l’intuizione di Giovanni Carandente: mettere in
tensione lo spessore storico della città e le dinamiche attuali. La
prosecuzione del racconto iniziato nel 1962 attiva “diversi presenti”, mette a
confronto diverse fasi del contemporaneo,
collegandole per mezzo dello spazio in una simultaneità che non cancella la
profondità temporale, e tenta il paradosso di ripetere una mostra irripetibile. Il curatore della mostra, direttore di Palazzo Collicola,
Gianluca Marziani, descrive l’operazione come “una piattaforma con porte
d’accesso laterali e due varchi principali: uno per alimentare il passato con la ricollocazione di alcune opere del
1962, la creazione di un archivio, la realizzazione di una mappatura del 1962
tramite totem fotografici nei luoghi in cui si trovavano le opere, l’altro per elaborare il presente attraverso la
mostra estiva, il grande catalogo in preparazione, gli eventi collaterali
previsti fino alla fine di ottobre, un convegno autunnale sulla scultura e
nuove sinergie sul territorio.” Rifiutando di collaborare con Vittorio Sgarbi,
per difendere, dice, l’autonomia filologica del progetto, Marziani ha
coordinato intervento pubblico e sostegno privato, con l’obiettivo di
ottimizzare le risorse e puntare alla creazione di un laboratorio permanente e
di un format ripetibile, che possa “rendere l’intera città un museo diffuso dove tutto abbia un
senso, dove ogni opera dialoghi con quel contesto, dove le sculture possano
creare simbologie non solo estetiche”.
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