venerdì 24 agosto 2012

La presenza dell’arte: Spoleto


Le pratiche artistiche che si inscrivono nei contesti urbani, che riflettono sulla relazione tra l’opera d’arte e l’ambiente, possono dire qualcosa sul presente della città, del quale la presenza dell’arte rivela i punti di tensione. L’arte si colloca dentro la città come ipotesi progettuale. La sua interpretazione dello spazio produce uno scarto rispetto all’esistente urbanistico, e suggerisce modelli di trasformazione.


Una mostra può diventare la mappa culturale di una città. Soprattutto se il percorso espositivo è dislocato attraverso lo spazio urbano. La mostra Sculture in città del 1962, ideata da Giovanni Carandente, disseminava nel contesto stratificato della città di Spoleto la ricerca piú avanzata dell’arte contemporanea di allora. Sculture di Consagra, Pomodoro, Calder, Pepper, Chillida, Fontana, Manzù, Moore, Paolozzi, Somaini si misuravano con le prospettive “ancronistiche” dello scenario cittadino. Introducendo nuove possibilità di visione e un’esperienza dell’arte che forzava i confini imposti dalla fruizione museale. La mostra ha inciso nella città e nel sistema dell’arte una traccia storica che si è sedimentata e oggi, a cinquant’anni di distanza, viene ripercorsa e riattivata. Alcune delle sculture del 1962 tornano al loro posto, dialogando con cinquanta scultori italiani delle ultime generazioni, che sovrappongono una nuova cartografia espositiva a quella d’allora, e riflettono sulle evoluzioni dei materiali, quindi dei significati, della scultura.

+50 Sculture in città aggiorna l’intuizione di Giovanni Carandente: mettere in tensione lo spessore storico della città e le dinamiche attuali. La prosecuzione del racconto iniziato nel 1962 attiva “diversi presenti”, mette a confronto diverse fasi del contemporaneo, collegandole per mezzo dello spazio in una simultaneità che non cancella la profondità temporale, e tenta il paradosso di ripetere una mostra irripetibile. Il curatore della mostra, direttore di Palazzo Collicola, Gianluca Marziani, descrive l’operazione come “una piattaforma con porte d’accesso laterali e due varchi principali: uno per alimentare il passato con la ricollocazione di alcune opere del 1962, la creazione di un archivio, la realizzazione di una mappatura del 1962 tramite totem fotografici nei luoghi in cui si trovavano le opere, l’altro per elaborare il presente attraverso la mostra estiva, il grande catalogo in preparazione, gli eventi collaterali previsti fino alla fine di ottobre, un convegno autunnale sulla scultura e nuove sinergie sul territorio.” Rifiutando di collaborare con Vittorio Sgarbi, per difendere, dice, l’autonomia filologica del progetto, Marziani ha coordinato intervento pubblico e sostegno privato, con l’obiettivo di ottimizzare le risorse e puntare alla creazione di un laboratorio permanente e di un format ripetibile, che possa “rendere l’intera città un museo diffuso dove tutto abbia un senso, dove ogni opera dialoghi con quel contesto, dove le sculture possano creare simbologie non solo estetiche”.

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