Sulle
agende per lo sviluppo il dibattito
pubblico vivacchia, e piú spesso muore. In un orizzonte politico asfittico,
colpevolmente appiattito sulle strettoie dell’adesso, è troppo raro trovare
linee di indirizzo che rispondano a una visione.
Il ricatto emergenziale della crisi permanente soffoca le esigenze progettuali. Eppure anche nell’inerzia delle risposte
urgenti, immediate, sembrano imporsi scelte che si presentano con la forza
della necessità. Il dossier sullo sviluppo presentato dal ministro Passera
mette al primo punto dell’ordine del giorno l’implementazione delle infrastrutture e delle pratiche digitali,
attraverso la creazione di una cabina di regia interministeriale e la nascita
dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Tra gli obiettivi prinicpali l’azzeramento
del digital divide, lo sviluppo del commercio elettronico, l’alfabetizzazione
digitale, la digitalizzazione dei rapporti con la pubblica amministrazione,
l’uso della digitalizzazione come motore di innovazione trasversale, lo
sviluppo di progettualità “smart”. Strategie di intervento che consuonano con
quelle individuate dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Francesco
Profumo nella sua prefazione al libro di Andrea Granelli Città intelligenti? Per una via italiana alle Smart Cities. “La città intelligente”, scrive
Profumo, “è la proiezione astratta di
un’idea di città del futuro, riconducibile a un perimetro applicativo e
concettuale che racchiude un ampio fascio di applicazioni e verticalizzazioni,
cosí come diversi sono i domini cui appartengono le tecnologie che
concorreranno alla sua realizzazione [...] Al centro della sfida vi è la costruzione di un nuovo genere di bene
comune, una grande infrastruttura tecnologica e immateriale che faccia
dialogare persone e oggetti, integrando informazioni e generando intelligenza,
producendo inclusione e migliorando il nostro vivere quotidiano.” Il programma
presentato da Passera è vincolato alla disponibilità di finanziamenti, per
circa 450 milioni di euro, che sono “ancora
da reperire”. Ma quello che piú conta, oltre alla reperibilità delle
risorse essenziali, è che gli interventi vengano inquadrati nel contesto di una
progettazione organica, che si dia l’obiettivo di sviluppare, prima ancora che
gli strumenti e gli ambienti, una
cultura diffusa dell’innovazione, dello scarto rispetto all’esistente, della
produzione della differenza.
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