lunedì 18 giugno 2012

La piazza digitale


di Andrea Granelli

Questo articolo è stato pubblicato su Nòva domenica 17 giugno.


Le città sono oramai il luogo delle opportunità e dei problemi della contemporaneità. Con l’emergere dell’economia dei servizi non sono piú solo il luogo del consumo e dell’(auto)governo ma anche della produzione della ricchezza. Ma le città italiane sono diverse...

L’aspetto che forse piú le caratterizza è il loro cuore antico, il centro storico e il patrimonio culturale diffuso: è una straordinaria occasione per una forte caratterizzazione identitaria e può (anzi deve) diventare il laboratorio a cielo aperto dove sperimentare le tecnologie e le soluzioni piú avanzate. Ma vi sono altri aspetti specifici delle nostre città: l’essere organizzate attorno alle piazze, la forte dimensione turistica, la diffusione della cultura imprenditoriale artigiana e del commercio al dettaglio, una visione tutta nostra del welfare, una cultura dell’alimentazione che è anche in rapporto con la città che deve “appagare”.

Ora, le smart cities sono una grande occasione anche per l’Italia. Il tema va però affrontato nel modo giusto. Non una pallida imitazione dei modelli americani che partono da una visione distopica del vivere urbano e danno alle tecnologie digitali un potere quasi magico. Neanche una semplice risposta ai bandi europei per racimolare le sempre piú esigue risorse finanziarie pubbliche a disposizione per l’innovazione. Ma piuttosto l’occasione per riflettere a fondo sul futuro delle città, riunendo attorno a tavoli progettuali i principali attori per cogliere a pieno le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie ma in armonia con la storia, le tradizioni e le vocazioni delle nostre città, diverse rispetto alle megalopoli che spuntano come funghi da Oriente a Occidente. Non solo efficienza energetica, dunque, né riduzione dell’inquinamento, controllo della sicurezza o mobilità sostenibile, ma anche valorizzazione dei centri storici, nuove soluzioni di welfare, filiere corte alimentari. Non sarà l’intelligenza delle macchine o l’automazione dei processi che – da sola – salverà le nostre città, ma l’antica sapienza che ha consentito a eroi “mediterranei” come Ulisse di risolvere – grazie alla combinazione della techné con idee ingegnose, senza però mai perdere l’umanità e il senso del limite – problemi quasi al di fuori della portata dell’uomo.

L’importanza del tema smart cities nasce dalla rinata centralità del territorio. Questa visione (ri)mette infatti al centro dell’agenda economica, politica, sociale e culturale la valorizzazione del territorio, assumendolo nella sua multidimensionalità e forzando dunque un nuovo processo di pianificazione delle risorse che ne massimizzi il ritorno. È quindi un problema di scelta e prioritizzazione delle “classi di utenti” su cui focalizzare le principali risorse e di co-progettazione.
Il punto di partenza è comunque immaginarsi come dovrà (e potrà) essere la città italiana e come potrà diventare piú “ingegnosa”: questo approccio potrebbe diventare la risposta italiana al modello delle smart city di matrice americana, dove connettività Ict “dovunque e a prescindere dall’uso”, automazione spinta, potere maieutico degli open data e smartness delle macchine costituiscono gli aspetti fondativi. Poiché nasce da esigenze concrete, potrebbe anche contribuire in maniera efficace a dare indicazioni a livello europeo per evitare che i progetti di rigenerazione urbana si declinino in uno spazio stretto fra il recupero architettonico-funzionale delle aree degradate e il controllo delle emissioni nocive a causa del cattivo uso dell’energia.
Inoltre questo modello potrebbe essere una sorta di guida a cui gli sforzi progettuali urbani dovrebbero tendere: dove innovazione e tradizione, attività culturali ed economiche, imprenditoria for-profit e iniziative sociali convivono; dove l’esigenza di una mobilità urbana efficiente e sostenibile si integra in maniera naturale con grandi aree pedonali, dove il controllo dell’inquinamento e la chiusura al traffico dei centri ripropone la città a misura d’uomo; dove l’agorà e i “centri commerciali naturali” tornano a essere il centro naturale della città.

Oltretutto troppo spesso la città analizzata per costruire il processo di innovazione urbana è solo la “città che consuma” e la “città da amministrare”. Ma esiste una terza dimensione, quella della “città che produce”. Con l’emergere dell’economia dei servizi – che vale quasi il 70% del Pil – e una nuova stagione della cultura artigiana, la città sta diventando il cuore della nuova economia e richiede nuove infrastrutture e nuove piattaforme di conoscenza. È in questo ambito che il ruolo della Camera di Commercio diventa essenziale e deve affiancare il sindaco. È infatti sempre piú necessario un modo diverso di pensare il futuro dello spazio urbano, per ricostruire i tessuti economici, sociali e culturali delle città.

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