di
Andrea Granelli
Le città sono oramai il luogo delle opportunità e dei problemi della contemporaneità. Con l’emergere dell’economia dei servizi non sono piú solo il luogo del consumo e dell’(auto)governo ma anche della produzione della ricchezza. Ma le città italiane sono diverse...
L’aspetto che forse piú le caratterizza è il loro cuore antico, il centro storico e il
patrimonio culturale diffuso: è una straordinaria occasione per una forte
caratterizzazione identitaria e può (anzi deve) diventare il laboratorio a cielo aperto dove
sperimentare le tecnologie e le soluzioni piú avanzate. Ma vi sono altri
aspetti specifici delle nostre città: l’essere organizzate attorno alle piazze,
la forte dimensione turistica, la diffusione della cultura imprenditoriale
artigiana e del commercio al dettaglio, una visione tutta nostra del welfare,
una cultura dell’alimentazione che è anche in rapporto con la città che deve
“appagare”.
Ora, le smart
cities sono una grande occasione anche per l’Italia. Il tema va però affrontato
nel modo giusto. Non una pallida imitazione dei modelli americani che partono da una visione distopica del vivere
urbano e danno alle tecnologie digitali un potere quasi magico. Neanche una
semplice risposta ai bandi europei per racimolare le sempre piú esigue risorse
finanziarie pubbliche a disposizione per l’innovazione. Ma piuttosto l’occasione
per riflettere a fondo sul futuro delle
città, riunendo attorno a tavoli progettuali i principali attori per
cogliere a pieno le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie ma in armonia con la storia, le tradizioni e
le vocazioni delle nostre città, diverse rispetto alle megalopoli che
spuntano come funghi da Oriente a Occidente. Non solo efficienza energetica,
dunque, né riduzione dell’inquinamento, controllo della sicurezza o mobilità
sostenibile, ma anche valorizzazione dei
centri storici, nuove soluzioni di welfare, filiere corte alimentari. Non
sarà l’intelligenza delle macchine o l’automazione dei processi che – da sola –
salverà le nostre città, ma l’antica sapienza che ha consentito a eroi “mediterranei”
come Ulisse di risolvere – grazie alla combinazione della techné con idee
ingegnose, senza però mai perdere l’umanità e il senso del limite – problemi
quasi al di fuori della portata dell’uomo.
L’importanza del tema smart cities nasce dalla
rinata centralità del territorio. Questa visione (ri)mette infatti al centro dell’agenda economica, politica,
sociale e culturale la valorizzazione del territorio, assumendolo nella sua
multidimensionalità e forzando dunque un nuovo processo di pianificazione delle
risorse che ne massimizzi il ritorno. È quindi un problema di scelta e
prioritizzazione delle “classi di utenti” su cui focalizzare le principali
risorse e di co-progettazione.
Il punto di partenza è comunque immaginarsi come
dovrà (e potrà) essere la città italiana e come potrà diventare piú “ingegnosa”: questo approccio
potrebbe diventare la risposta italiana al modello delle smart city di matrice
americana, dove connettività Ict “dovunque e a prescindere dall’uso”,
automazione spinta, potere maieutico degli open data e smartness delle macchine
costituiscono gli aspetti fondativi. Poiché nasce da esigenze concrete,
potrebbe anche contribuire in maniera efficace a dare indicazioni a livello
europeo per evitare che i progetti di rigenerazione urbana si declinino in uno
spazio stretto fra il recupero architettonico-funzionale delle aree degradate e
il controllo delle emissioni nocive a causa del cattivo uso dell’energia.
Inoltre questo modello potrebbe essere una sorta di
guida a cui gli sforzi progettuali urbani dovrebbero tendere: dove innovazione e tradizione, attività
culturali ed economiche, imprenditoria for-profit e iniziative sociali
convivono; dove l’esigenza di una mobilità urbana efficiente e sostenibile
si integra in maniera naturale con grandi aree pedonali, dove il controllo dell’inquinamento
e la chiusura al traffico dei centri ripropone la città a misura d’uomo; dove l’agorà
e i “centri commerciali naturali” tornano a essere il centro naturale della
città.
Oltretutto troppo spesso la città analizzata per
costruire il processo di innovazione urbana è solo la “città che consuma” e la
“città da amministrare”. Ma esiste una terza dimensione, quella della “città che produce”. Con l’emergere
dell’economia dei servizi – che vale quasi il 70% del Pil – e una nuova
stagione della cultura artigiana, la città sta diventando il cuore della nuova
economia e richiede nuove infrastrutture e nuove piattaforme di conoscenza. È
in questo ambito che il ruolo della Camera di Commercio diventa essenziale e
deve affiancare il sindaco. È infatti sempre piú necessario un modo diverso di pensare il futuro dello spazio urbano, per
ricostruire i tessuti economici, sociali e culturali delle città.
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