Questo testo fa parte di un’inchiesta collettiva su L’Europa delle città, prodotta in collaborazione con Il Bureau.
La
prima lettera della mia vita mi raggiunge l’ottavo giorno della mia
giovane esperienza berlinese all’indirizzo di Oranienstrasse 33,
edificio frontale, piano terzo, porta a destra. È una busta di
dimensioni considerevoli, stipata di incartamenti. Maledicendo la mia
scarsa manualità, faccio a pezzi l’involucro e ne esamino il contenuto:
una smorfia di stupore spariglia la mia faccia. Tiro le tende della
stanza e cerco rifugio nel suo anfratto piú
scuro. La mia mano stringe
il codice fiscale tedesco appena assegnatomi, senza capire la motivazione di tale inquadramento istituzionale.
L’impatto
con una burocrazia celere ed efficiente – specie se la si confonde con
l’ossessione tutta tedesca per l’irreggimentazione della realtà in
categorie, un abito che si riverbera persino nell’universo linguistico,
in cui il neologismo, lo strappo alla regola, è anch’esso regola
– può suscitare nell’immediato una sensazione di mortificazione della
libertà individuale. Tuttavia e ben presto, l’impressione di
soffocamento si tramuta in ammirazione quando con uno sguardo piú
attento si riconoscono i benefici di ordine socio-politico ed economico
di una smart governance cittadina.
Infatti, è la povera, scalcinata Berlino che l’imprenditorialità hi-tech europea ha scelto come sua mecca, attirando giovani
creativi e concentrando il piú elevato numero di start-up del Vecchio
Continente. Una neonata comunità virtuale che già vanta successi di fama
mondiale: basti citare SoundCloud, comunemente definito “Youtube della musica”, un sito con piú
di dieci milioni di iscritti, o Upcload,
che tramite la webcam misura in un attimo la taglia delle persone,
rimuovendo cosí
il principale ostacolo allo shopping di abbigliamento
online. Le ragioni di tale successo vanno trovate nella sinergia fra istituti di ricerca, università, enti pubblici funzionanti e digitalizzati,
e in una rete di wi-fi gratuito sempre piú
diffusa. Inoltre, il basso
costo della vita agevola la permanenza sul mercato di imprese acerbe,
che altrove, seppur con idee valide, dovrebbero fare i conti con tempi
di gestazione significativamente piú
brevi. E se nel futuro prossimo
questa ondata di visionari della rete promette di propiziare ingenti
investimenti stranieri, per l’intanto costituisce una fulgida prova di
quanta innovazione sia in grado di sprigionare l’azione combinata dei
parametri di intelligenza di una città.
Un’intelligenza i cui
segni sono manifesti nello spaccato urbano, come l’ispirato accorgimento
di trasformare la denutrita figura standard del semaforo per
l’attraversamento pedonale nell’Ampelmännchen, alla lettera l’omino del semaforo.
Un florido omino in grado di strappare un sorriso anche al piú
bigio
degli impiegati in ritardo. Ormai un oggetto di culto cosí
popolare da
essere usato nelle scuole per l’educazione alla sicurezza stradale e in
grado di alimentare un consistente giro d’affari con l’apposizione della
sua effigie su souvenirs di ogni tipo. Non si richiedono nozioni di
psicologia del traffico per apprezzare l’influenza positiva di questo
simbolo sul viavai quotidiano.
Quando non vuole avvalersi della
precisione millimetrica della mobilità pubblica, chi passeggia per
Berlino ha l’impressione di percorrere un itinerario nel recente passato europeo,
e al contempo proprio le stratificazioni urbane sincopate, l’ordinata
discontinuità architettonica risuonano come un inno al cambiamento. Il
suono di una città strutturalmente favorita dalla sua fisionomia che è Storia contemporanea,
in cui “la tempesta del progresso” spira senza sosta sulle polverose
testimonianze d’una perduta età dell’oro. Un aspetto eteroclito che è
già divenire.
Un vantaggio non da poco considerando che, mentre
nell’area asiatica si possono concepire a tavolino i cosiddetti Green
City Projects per nuove e intelligenti città, in Europa preesistenti metropoli debbono interrogare la loro architettura
per ottimizzare le infrastrutture disponibili e innestare
un’informatica per la città, che ne misuri lo stato di salute da una
angolazione olistica, aiutata da sensori che, nascosti sotto l’asfalto o
inseriti nei pali della luce, rendicontano lo stato del traffico,
l’inquinamento dell’aria, il livello di rumore, il grado di riempimento
dei bidoni dell’immondizia, l’efficienza energetica.
Insomma, come evidenziano le recenti evoluzioni, anche a Berlino il cittadino di domani sarà coinvolto in uno scambio diretto di dati con l’ambiente
circostante. Se vuole renderlo proficuo, pur avendo accesso in
qualsiasi momento alle informazioni fornite dalla città intelligente,
non sarà esentato dal pensare.
Giacomo Antico, presto 22 anni,
segue il quarto anno di giurisprudenza a Roma. L’inverno passato ha
trascorso a Berlino il semestre piú
freddo che si ricordi.
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