martedì 18 dicembre 2012

Il rovescio dell’ignoranza


Nel suo ultimo libro Fabrizio Tonello descrive una serie coerente di processi sociali che convergono verso la definizione della contemporaneità come età dell’ignoranza, polemicamente contrapposta alla percezione diffusa di vivere dentro una “società dell’informazione”, o addirittura “della conoscenza”. La cartografia di Tonello è utile perché segna alcuni punti di crisi che nascondono un rovescio di potenzialità da elaborare. Per immaginare strategie possibili di ripopolamento del deserto culturale che stiamo attraversando: tenendo conto di tutte le trappole e di tutti i rischi segnalati da Tonello, ed evitando di cantare scioccamente le “magnifiche sorti e progressive” della civiltà. “I nostri nonni contadini e operai”, scrive Tonello nell’ultimo paragrafo del suo libro, “potevano essere analfabeti, ma partecipavano di una conoscenza sociale diffusa nel paese o nella fabbrica, un senso comune che permetteva loro di capire in che mondo viviamo con sicurezza. Oggi questo patrimonio di saperi si è in gran parte disperso, ed è molto difficile da recuperare perché le sue basi materiali si sono dissolte.”
In una piega di questa visione crepuscolare si intravede la possibilità di una alfabetizzazione sociale che avviene lontano dall’alfabetizzazione istituzionale. Tonello parla di un’umanità analfabeta, ma consapevole. E costringe a formulare l’ipotesi che l’analfabetismo collettivo che minaccia il nostro patrimonio culturale e la nostra convivenza civile contenga i germi di un “postalfabetismo” da costruire proprio nei luoghi e attraverso gli strumenti che attualmente sembrano gli incubatori dell’ignoranza. Quella che si presenta con le insegne dell’ignoranza imperante potrebbe essere in realtà una ristrutturazione sostanziale dei luoghi di produzione e scambio dei saperi, un processo che nasconde cambiamenti profondi delle configurazioni sociali, collegati alle trasformazioni tecnologiche.

Il “pubblico paraprivato” generato dalle reti sociali, che trasforma non piú il privato in politico ma il politico in personale, è luogo di produzione di “infrasaperi”, autonomi o in conflitto rispetto al sapere istituzionale, che possono diventare il fulcro sul quale poggiare la leva della nuova alfabetizzazione. Rendendo produttivo anche l’aspetto emozionale e istintivo che Tonello indica come uno dei veicoli dell’ignoranza: se riconosicuta come declinazione del desiderio, l’emotività “calda” dei nuovi media può essere utilizzata come strumento di coinvolgimento. Anche il rapporto tra docente e discente prende forma spesso a partire da un legame emotivo: già la teoria platonica dell’educazione si fonda sul desiderio. Nella condivisione della parola orale si innesca un riecheggiare della parola del maestro nell’allievo che non attiva meccanismi esclusivamente razionali.

Le fratture prodotte dall’ignoranza allora possono liberare una costruzione dei significati diversa e sconosciuta. Dall’approfondimento della frattura prodotta dalla de-socializzazione delle pratiche culturali muovono le strategie di ricreazione e ricomposizione delle comunità. E questo è valido anche e forse soprattutto sul piano politico. Le comunità locali, i movimenti, le aggregazoni politiche diffuse e provvisorie stanno disarticolando lo spazio pubblico, e aumentando lo scollamento rispetto alle istituzioni politiche tradizionali, che nel conflitto con queste nuove realtà mostrano tutta la loro sofferenza. Anche la ricomposizione del politico passa attraverso la valorizzazione degli strumenti offerti dalle reti, intese non soltanto come elemento tecnologico ma come paradigma sociale.

Le nuove piattaforme di informazione cui Tonello guarda senza troppa simpatia rappresentano le infrastrutture per l’elaborazione dei nuovi saperi. Sono flussi dei quali non è piú possibile fare a meno nonostante la loro mole sovrasti le capacità individuali di elaborazione. Niente è superfluo perché tutto può attivare un infrasapere. Il fatto che le grandi corporation cerchino di assicurarsi i “servizi” dei pirati che trasformano l’orizzonte della comunicazione lontano dalle centrali dell’informazione è il sintomo dell’efficacia delle loro pratiche di destrutturazione dei poteri dominanti. L’emergenza di attività “autonome” del resto è destinata a destabilizzare e poi a ristrutturare l’organizzazione del lavoro. Lo sfruttamento diffuso della creatività sociale, che adesso viene giustamente denunciato come una pratica parassitaria, dovrà assestarsi e trovare un suo modello produttivo.

Il rovescio dell’ignoranza è una trasformazione antropologica che insieme ai sistemi di apprendimento sta modificando gli schemi cognitivi degli individui. La mutazione è stata analizzata a livelli diversi, su una scala che va dalla fenomenologia dei “barbari” (Baricco, ma anche, a un livello di maggiore complessità, il sociologo Alberto Abruzzese) fino alle scoperte sulla plasticità neurale che provengono dalle neuroscienze. Approcci diversi che concordano nell’affermare la necessità di comprendere le strategie dei barbari che, utilizando la metafora di Baricco, attraversano e saccheggiano il nostro paesaggio culturale. I barbari acquistano in velocità e vastità di attraversamento delle superfici quello che perdono in profondità. E dove sembra che stiano distruggendo e desertificando, in realtà stanno abitando in modo del tutto diverso. Quando parlano, sembra che stiano storpiando la nostra lingua: invece ne stanno sillabando una del tutto nuova, che dobbiamo ancora grammaticalizzare. Alcune delle competenze che hanno caratterizzato l’affermarsi della nostra civiltà saranno irrimediabilmente perdute, lasciando posto ad altre competenze che stanno avanzando. A partire dalle quali dovrà costruirsi la nuova alfabetizzazione.

L’alfabetizzazione che avveniva in fabbrica e in paese, evocata da Tonello in chiusura del suo libro, era proprio un sapere conflittuale rispetto ai saperi organizzati e istituzionalizzati. Seguire i processi di disgregazione del sapere tradizionale serve proprio a capire in che modo ricomporre le comunità, riaggregare nuovi saperi e nuove creatività sociali. Approfondire la crisi fino a spalancarla, senza invocare restaurazioni e nostalgie, è l’unica possibilità di connettere il presente alla storia, e di trasferire nel nuovo contesto, riattivandone il significato, il patrimonio culturale che sembra minacciato da ogni parte.

1 commento:

  1. Il tema che affronti, a partire dal testo di Tonello, che non ho letto, è particolarmente interessante perchè ci muoviamo (tu autore, e io lettore) esattamente dentro lo stesso contesto di trasformazione dei saperi e delle "grammatiche" di cui parli. Siamo "dentro" il sistema che stai descrivendo. Così, mi piacerebbe (per amore di dialogo e di argomentazione) riprendere i tuoi paragrafi e vedere se contengono altre "uscite laterali" possibili, rispetto a quelle che acutamente indichi:

    1) Nel "postalfabetismo" che evochi potrebbe esserci un qualche riflesso di ottimismo "positivistico". Sono d'accordo con te nel non demonizzare i pretesi "incubatori dell'ignoranza", ma è in questa dimensione che inserirei il tema del "consumo". Il "creatore di contenuti" come nuova merce inconsapevole, la profilazione delle nostre ricerche su google a fini commerciali etc.etc.

    2) Nuovi saperi e vecchi saperi dialogano, hanno sempre canali di scambio, vasi, porte. Gli infrasaperi sono consapevoli o inconsapevoli? L’emotività calda, che sospetti possa essere sfruttata come strumento di coinvolgimento, ha, per me, il pericoloso effetto collaterale di creare un contatto “intenso e breve”, cioè non capace di sedimentarsi negli usi, nelle “credenze”. Pensa, tipicamente, all’uso politico delle emozioni e alla rapidità con cui sentimenti collettivi (lutto, euforia, indignazione) si susseguono nel consumo delle informazioni. Una società di “empatici a termine”, e brevissimo termine.

    3) ricomposizione delle comunità. Ottimo! Abbiamo l’imbarazzo della scelta delle piattaforme unitarie di ricomposizione: xenofobia, omofobia, intolleranza religiosa, localismi. Handicap e disagio psichico sono nuovi antichissimi tabù di emarginazione, in rete e fuori.

    4) Sull’ineludibilità del “flusso” delle nuove piattaforme d’informazione. Concordo. Occorrerà, infatti, inventar e un’organizzazione del lavoro che premi e paghi…il superfluo. Che è quello che siamo in grado di produrre noi.

    5) Sulla “mutazione antropologica”. Sono sempre molto scettico su questo argomento, e molto cauto. Perché tendenzialmente sono portato a dubitare di analisi che non tengano in considerazione la “mutazione antropologica” dell’analizzatore rispetto all’analizzato. Quale è il grado di consapevolezza della nostra “mutazione” (e rispetto a chi?) quando parliamo di questa mutazione nei (dei) balbettanti barbari? Sono disposto a meta-barbarizzarmi per analizzarli? O ci sarà sempre qualcuno un po’ meno barbaro di me, o un poco più “barbaro” di me all’orizzonte?

    6) In ultimo, il “conflitto”. E’ possibile davvero “connettere il presente alla storia” senza attraversare una qualche forma di conflittualità. Qui entra in gioco, io credo, anche un nuovo concetto di “tempo” e di “percezione del tempo” e di “uso del tempo” (vedi un saggio di qualche anno fa, ma ancora interessante, “Non c’è tempo”, Lothar Baier, Bollati Boringhieri). Perché “qualcuno”, leggendo il tuo articolo e questo mio commento insieme, so per certo che ci direbbe: “Certo che ne avete di tempo!”

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