Cloud è la seconda voce del Dizionario controfattuale dell’innovazione di Matteo Pelliti. Un glossario incongruo fatto di indagini storico-etimologiche che
aprono varchi nella stolida compattezza delle parole d’ordine della modernità.
Un antidoto ai tic gergali e alle coazioni al nuovo, da somministrare,
parafrasando Montale, agli “innovatori che non si voltano”. Uno stupidario
puntuale come il mercoledí, tutti i mercoledí, in collaborazione con Il Bureau.
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:il nulla alle mie spalle, il vuoto dietrodi me, con un terrore di ubriaco.Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gittoalberi case colli per l’inganno consueto.Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zittotra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.Eugenio Montale, Ossi di seppia, 1925
Tutta
la leggera vaghezza, o la vaga
leggerezza, portata in dote dalle parole della modernità si ritrova
condensata in “cloud”. Il significato primo appare vecchio quanto il mondo,
“nuvola”, dove nel suo etimo inglese ha un curioso risvolto: nomina ciò che è
leggero per definizione ma ricorrendo alla sua somiglianza con ciò che pesa,
consiste, il “clod”, masso di
roccia: le nuvole che mimano montagne.
Ora di dati. Le “nuvole” sono divinità potenti per
chi ha voglia di non dimenticare piú niente: sono loro che ci rendono capaci,
nei nostri computer, di pensare, di parlare, di riflettere. Oggi “cloud”
si associa tipicamente al computing,
nell’espressione cloud computing,
vale a dire: qualcosa che ti serve per fare qualcosa sul tuo computer che non
sta sul tuo computer ma sfruttando qualcosa che sta disseminato in tanti altri
computer, alcuni detti server, che
quando te lo spiegano ci disegnano sempre intorno, a tutti questi computer o
server, un grosso fumettone fatto a
forma di nuvola, da qui “cloud” (per il lettore che volesse una definizione
piú circostanziata consiglio una ricerca “wiki”, che funziona in modo “cloud”
essa stessa). Cloud designa un’intera
modalità di concepire la condivisione
dei dati e, per estensione, quasi lo stesso “stare in rete” come insieme di
azioni di condivisione attraverso montagne di dati. Le nuvole che mimano
montagne. C’è chi ha osservato, però, che il “cloud” non sia tanto “open” e che
ponga, inoltre, rilevanti problemi di privacy. Il cloud può essere smart se non è anche open? Il cloud computing
conserva delle nuvole la fragilità, tale che i tuoi dati staranno lí appesi in
goccioline vaporose, pronte a cadere giú – “come lacrime nella pioggia” – o ad
esser perse per sempre al primo salto di backup o per scintilla nell’incendio
dei server, ultime nostre vere divinità remote. L’incendio delle Nuvole, ecco il nuovo sacrilegio da scongiurare.
“Sono Nuvole del cielo, divinità potenti per chi non ha voglia di fare niente: sono loro che ci rendono capaci di pensare, di parlare, di riflettere, e di incantare e raggirare.” (Aristofane, Le nuvole)
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