di Matteo Pelliti
Con questo testo Matteo Pelliti inaugura il suo Dizionario controfattuale dell’innovazione. Un glossario incongruo fatto di indagini storico-etimologiche che aprono varchi nella stolida compattezza delle parole d’ordine della modernità. Un antidoto ai tic gergali e alle coazioni al nuovo, da somministrare, parafrasando Montale, agli “innovatori che non si voltano”. Uno stupidario puntuale come il mercoledí, tutti i mercoledí, anche su Il Bureau. A partire dalla parola piú smart del momento: smart, appunto.
Con questo testo Matteo Pelliti inaugura il suo Dizionario controfattuale dell’innovazione. Un glossario incongruo fatto di indagini storico-etimologiche che aprono varchi nella stolida compattezza delle parole d’ordine della modernità. Un antidoto ai tic gergali e alle coazioni al nuovo, da somministrare, parafrasando Montale, agli “innovatori che non si voltano”. Uno stupidario puntuale come il mercoledí, tutti i mercoledí, anche su Il Bureau. A partire dalla parola piú smart del momento: smart, appunto.
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:il nulla alle mie spalle, il vuoto dietrodi me, con un terrore di ubriaco.Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gittoalberi case colli per l’inganno consueto.Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zittotra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.Eugenio Montale, Ossi di seppia, 1925
Smart
Molto
tempo fa c’erano solo gli smarties, confettini colorati al cioccolato, a
portare nel linguaggio comune la radice brillante dell’aggettivo inglese
“smart”. Degli anni Quaranta è l’uso di smart cookies, per definire un tipo
furbacchione o opportunista. Per avere delle smart bombs si dovettero
aspettare gli anni Settanta. Le “città intelligenti” erano ancora tutte di là
da venire, con buona pace di Leon Battista Alberti e della sua città ideale. La
Daimler aspettò gli anni Novanta per produrre una vetturetta, SMART, che era in
realtà acronimo di Swatch-Mercedes Art, veicolo a due posti che assorbí a lungo,
quasi un’antonomasia, buona parte del significato di “Smart” nel linguaggio
comune del parlante medio (intendo nell’italiano corrente: “ho la Smart”),
al pari, forse, solo delle “smart-card”, che si diffusero con la pay-tv degli
anni Zero per vedere le partite di calcio non piú “in chiaro”. Monosillabica e
di facile pronuncia, quindi intrinsecamente smart in ogni sua parte,
facile a essere acrosticizzata (Significa Mordere Attraverso Ragionamenti
Terrificanti) la parola “smart” si porta dentro il “mordere” latino e il
terribile e cacofonico “smerdaléos” greco. Si noti che all’incontrario
restituisce “trams”, tale che il palindromo “Smart Trams” indica un chiaro
percorso verso la mobilità urbana a basso impatto ambientale. Infine fu il
tempo dei telefoni, cosí che da prefissoide divenne aggettivo sostantivato, o
viceversa, e ogni smartphone una pròtesi del pensare. Oggi “smart”
ammanta come uno smalto quasi ogni riflessione possibile sulle nuove modalità
di sviluppo delle città – e non solo – col rischio, cosí, di far sbiadire il
suo potenziale luminescente in una notte dove tutte le vacche, magrissime, sono
grigie e in cui ogni sostantivo può essere santificato, cioè
“smartizzato”, a piacimento: S. economy, S. governance, S.
living, S. people, S. environment, S. mobility...
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