di Andrea Galante
Questo testo è stato scritto per Il Bureau.
© Gabriel Orozco, Astroturf Constellation, 2012 |
La crisi del welfare, spesso
raccontata solo in chiave economica, risiede nella difficoltà di dare una
risposta utile e concreta a sfide vecchie e nuove: povertà ed esclusione,
educazione e formazione di giovani e lavoratori, cambiamento climatico e
risparmio energetico. Da una parte una sua concezione inefficace, burocratica e
spersonalizzante, dall’altra trasformazioni sociali profonde rendono necessario
un ripensamento delle forme del welfare. A questo proposito ultimamente ha
preso forza la nozione di social
innovation. Sino a qualche anno fa non esisteva neanche una
pagina wikipedia a riguardo. Ora è invece diventata una delle parole
chiave dell’agenda europea Horizon 2020 e anche del nostro governo tecnico che ha
lanciato una Social Innovation Agenda per l’Italia.
La domanda viene spontanea. Cosa è esattamente la social innovation?
La giustapposizione di due parole d’ordine (e spesso abusate) come social e innovation ha un potere evocativo alto, ma non altrettanta
precisione concettuale. Proviamo a fare un po’ di ordine.
Il libro bianco sull’innovazione
sociale degli studiosi Murray, Grice a Mulgan definisce l’innovazione sociale
come un processo che si caratterizza sia per i suoi risultati che per le
relazioni cooperative che crea. L’Unione europea, attraverso il rapporto del BEPA, sottolinea un punto fondamentale: molti
problemi attuali necessitano un ripensamento degli stili di vita oltre che di
novità tecnologiche e organizzative. In questo senso, la social innovation costituisce un’innovazione
sociale sia nei mezzi che nei fini. Nuovi prodotti e nuovi servizi che
rispondono a problematiche diffuse e che, contemporaneamente, iniettano valore
nella società e aumentano la capacità stessa dei gruppi di rispondere a
situazioni di crisi.
Anche se non sempre presente, la
componente tecnologica
è un ingrediente decisivo: la società in rete ha prodotto nuove forme
organizzative e associative, ha dato supporto a una necessità di cooperazione e
di condivisione tra gli individui e ha creato un terreno che sfugge alle
classiche divisioni tra pubblico e privato. Cosí, l’innovazione spesso risiede
nella capacità degli individui di legarsi in reti e gestire problemi complessi
e, assieme di dar spazio a forme di intelligenza collettiva.
Ma di
cosa si sta parlando in concreto? Le forme della social
innovation possono essere varie: imprenditoria
sociale, associazionismo, profit e no-profit, settore pubblico
e privato. Per esempio, Amsterdam
UrbanMap è uno spazio web che informa sulle emissioni CO2 della
città e fornisce ai sui abitanti consigli riguardo i metodi migliori di
riduzione. The participatory budgeting è una piattaforma attraverso la quale i
cittadini di Colonia sono invitati a partecipare circa le decisioni di
allocazione di risorse pubbliche. E ancora, i Complaints Choirs danno la
possibilità a tante persone in tutto il mondo di riunirsi e – letteralmente –
cantare i problemi della loro vita quotidiana.
Le forme attraverso le quali si
può innovare il sociale sono varie e curiose, anche se non è detto che siano
tutte efficaci. Ciò che ci preme sottolineare è che è il legame sociale, la
relazione tra soggetti diversi a occupare la centralità della scena. Come
afferma Alex Giordano, sociologo attento a questi fenomeni, “l’etica del
networking sta uscendo dalla rete e incominciando a colonizzare nuove forme di
organizzazione del lavoro. Ciò è interessante perché risponde a regole non piú
aritmetiche: non siamo piú in una dimensione dove uno piú uno fa due, ma in una
dimensione dove uno piú uno può fare tre, prendendo pezzi disagiati di società
e mettendoli insieme si possono creare delle opportunità”.
Ecco allora la resilienza del nuovo welfare. L’approccio
della social innovation parte dalla crisi dei servizi sociali e del rapporto
tra istituzioni e bisogni della società, usa l’intelligenza collettiva e crea
opportunità, aumenta la partecipazione dei cittadini. Non risolverà tutti i
problemi e da solo non basterà, quello è certo. Ma è il suo carattere che ci piace.
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