giovedì 15 novembre 2012

La città mediale


In collaborazione con Il Bureau

 A Barjac, nel sud della Francia, Anselm Kiefer ha costruito La Ribaute, un agglomerato di edifici, scale, cuniculi e gallerie che si rincorrono lungo una vasta superficie nella campagna francese. Una piccola città esposta alla lenta corrosione degli elementi naturali, e quindi destinata a trasformarsi in rovina. Una simile idea di archeologia inversa Kiefer ha trasferito, amplificandola, nel 2004 all’HangarBicocca di Milano, nei suoi Sette palazzi celesti. Sette torri di altezza variabile tra i 14 e i 18 metri, in cemento armato, che interpretano i palazzi descritti nell’antico trattato ebraico Sefer Hechalot. Una città monumentale e divina precipitata sulla terra, che invita alla contemplazione sintetica delle macerie di tutte le civiltà umane, mostrando una sineddoche dei sempre ricorrenti tentativi terrestri di edificazione. Il tempo e la storia si manifestano attraverso la consunzione della materia e l’erosione delle forme, mentre dalla trama delle rovine affiorano gli oggetti desueti che sono stati agenti della civilizzazione: libri ridotti a un silenzio di piombo, mezzi di trasporto, macchine da guerra, immagini cieche con i loro strumenti di produzione e riproduzione, incapaci di sottrarle alla minaccia dell’oscuramento e dell’oblio.

Letteralmente all’ombra di questa memoria pietrificata, archeologia  di simboli, scorrono i flussi sonori e luminosi di un display riecheggiato all’infinito dagli specchi: Unidisplay, istallazione temporanea di Carsten Nicolai collocata accanto all’opera di Kiefer. Il senso del tempo e dello spazio che Kiefer affida alle tracce che incidono le cose si trasfonde con Nicolai  nell’immaterialità del digitale. Il peso di milioni di atomi condensati nel cemento armato si scioglie nella fluidità dei bit. La cui scansione binaria è ribadita dalla rigorosa bicromia del bianco e nero. Le masse luminose e gli impulsi sonori compongono sul display un grafico dell’esistenza nel quale alle tracce della storia si sostituiscono i significati composti dalle intensità, dalle frequenze, dai ritmi. La città risolve la propria topografia nella descrizione sintetica dei flussi di informazione che la attraversano. Come specchio digitale dei Sette palazzi di Kiefer il display di Nicolai diventa una riflessione sulla forma della città nell’epoca della sua rappresentazione mediale


Del resto esiste un legame originario tra l’arte e la rappresentazione della città come piattaforma di comunicazione, groviglio di segni e messaggi. L’arte descrive la città sfruttando il sapere tecnologico piú avanzato che la città e il suo tempo sono riusciti a produrre: dal prodigio tecnico della cupola di Brunelleschi, compimento dei saperi di un’epoca, al display di Nicolai che consegna alla città la sua mappa digitale. Dove non ci sono piú oggetti ma nodi, flussi e campi di distribuzione dell’informazione.

La città non è soltanto quanto è racchiuso dal perimetro delle sue mura, o l’insieme delle sue funzioni istituzionali. Lo spazio urbano è fatto di tutto quanto contribuisce a costruire significati, gli elementi materiali e immateriali, le relazioni, gli eventi, le influenze, i rapporti di forza, i flussi che attraversano i luoghi. La città si estende oltre le cose, gli edifici, gli individui che contiene, e diventa un’ipotesi di senso, l’immagine mentale che ciascuno si fa dello spazio della vita.


La città è un processo, una pratica permanente, qualcosa che si fa qui e ora e che si intreccia alla produzione incessante di segni che scaturisce dal vivere sociale. Città e atto comunicativo condividono questa dimensione del fare all’interno della quale si scambiano soluzioni tecniche e concettuali, in una attribuzione continua, e reciproca, di significati.


Attraverso le strutture della comunicazione la città assimila la mutazione delle tecniche, collocandola dentro un sistema che include l’economia e in generale tutte le articolazioni dell’organizzazione sociale. La comunicazione allestisce all’interno della città un laboratorio di invenzione che ha un rapporto osmotico con il contesto urbano. Mentre indaga, critica, descrive lo spazio della città, la comunicazione lo modifica e ne è modificata. Si colloca dentro la città come ipotesi progettuale, genera interpretazioni dello spazio che producono uno scarto rispetto all’esistente urbanistico, e suggeriscono modelli di trasformazione.

2 commenti:

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  2. Dal tuo articolo (molto interessante) ricavo due suggestioni di ricerca possibile, una lontana dal presente che investighi, e una no: 1) la città come "metafora" (in Wittgenstein e in Benjamin); 2) il rapporto tra passato e presente nell'architettura e nell'urbanistica praticata in Cina in questi anni (vedi il Premio Pritzker dato al cinese Wang Shu). Dello spazio urbano come "costruzione di significati" a me interessa soprattutto questa dialettica temporale, ma so che è una particolare predisposizione mia.

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