William Turner, La tempesta, 1842, London Tate Gallery |
Alexander M. Orlando incarna con evidenza quasi cinematografica il senso del rischio che struttura
il lavoro del venture capitalist. Un
“capitano di ventura” che si esalta quando il mare si fa grosso e i nemici agguerriti.
Il kubernetes, del resto, il
timoniere è, etimologicamente, colui che deve trovare il varco attraverso le difficoltà della navigazione.
Di
fronte alla platea della Open Assemblea degli Stati generali dell’innovazione
Orlando rappresenta il cacciatore di idee, alleato della disruption: l’innovazione che genera discontinuità. E che vede nei momenti di sofferenza economica e imprenditoriale
la tempesta perfetta. Perfetto il 2002, all’indomani del dotcom crash: l’evaporazione
di aziende e capitali riempie le strade di intelligenze “liquidate”, pronte a
utilizzare il fallimento come materia
prima per la produzione del nuovo. Perfetta l’alba del giorno dopo la crisi
finanziaria, che sta travolgendo una certa ideologia dello sviluppo, ridiscute
posizioni e gerarchie, e spazza via modelli di business. Come da convocazione, gli Stati generali dell’innovazione operano nella convinzione che solo elaborando idee disruptive, capaci di
scardinare le cristallizzazioni, di liberare
le energie sepolte dalle stratificazioni dell’abitudine, si potrà trovare il
varco attraverso la tempesta perfetta.
Il
discorso di Orlando è la sintesi icastica delle giornate di Bertinoro. Un brainstorming sull’innovazione, che ha
incrociato esperienze e punti di vista. Un luogo per esercitarsi nella costruzione di scenari capaci di
deviare il corso dell’esistente. Progettando una ristrutturazione profonda dei
territori, modi diversi di fare comunità e di potenziare l’intelligenza delle relazioni. Puntando soprattutto sull’apertura, un concetto trasversale che
unifica e organizza i diversi orizzonti dell’innovazione. Aperte sono le reti, i
software, i dati della pubblica amministrazione, le strategie della
partecipazione politica. Ma soprattutto aperte sono le visioni, i linguaggi, le possibilità di immaginazione. Si afferma la necessità e l’ambizione di costruire una nuova antropologia culturale. Chiamata ad abbandonare una certa idea umanistica di valore assoluto, e ad affrontare la complessità e la pervasività dei dispositivi che determinano
l’esistenza e che rappresentano una vera e propria sfida alla centralità dell’umano.
La
disponibilità delle risorse è maggiore delle idee in circolazione, dice
Orlando recitando il mantra dell’investitore. Ma si potrebbe tradurre: la tempesta che stiamo attraversando promette
passaggi che aspettano di essere inventati.
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