lunedì 24 settembre 2012

L’Europa delle città


Johan Putsch, Carta antropomorfa dell’Europa regina, 1537

Questo testo apre un’inchiesta collettiva su L’Europa delle città, che verrà prodotta in collaborazione con il blog Il Bureau: racconteremo, attraverso esperienze professionali e di vita, esempi di intelligenza urbana che attivano il sapere creativo delle città, e possono offrire modelli di riconnessione del tessuto culturale europeo.

Che nelle università europee non si studino piú le economie di Asia, Africa e America Latina alla rubrica Expansion of Europe, come accadeva ad Amartya Sen giovane studente di Cambridge, probabilmente non è un sintomo di decadenza. Piú stringente la sentenza di Sartre, citata da Sen: “Cos’è successo? Semplicemente che eravamo i soggetti della storia e adesso ne siamo gli oggetti.” 

Scivolata lentamente, nel corso del Novecento, dal centro del mondo verso una paradossale posizione periferica, l’Europa ha sfumato i propri connotati politici e culturali, e si è consegnata all’orizzonte piatto di una crisi finanziaria acefala, ingovernabile, che sembra essersi autogenerata senza produrre responsabilità. Il progetto unitario europeo nasce da un’esigenza politica e umanitaria, ma deraglia presto verso una traiettoria burocratica. La politica monetaria ha generato tensioni disgregatrici. Il ricatto emergenziale risveglia le miopi, violente tentazioni regionalistiche, alimentate da un risentimento identitario sempre sul punto di degenerare nell’odio. La discussione pubblica e la progettazione politica necessarie a recuperare il significato della solidarietà europea devono passare attraverso la riconnessione dei tessuti culturali e l’elaborazione di una visione comune. Secondo una prospettiva capace di ripensare l’umanesimo, ovvero il nucleo dell’idea di Europa, e di “coniugare ciò che la crisi attuale ci ha fatto credere separato: il rigore dei bilanci e gli investimenti nelle conoscenze, nella cultura, nella formazione, nella rigenerazione dei legami sociali; la direzione e la partecipazione; le culture umanistiche e le culture scientifiche; lo sviluppo economico e lo sviluppo umano integrale.”

L’Europa, concetto politico sempre in formazione, è esistita compiutamente dapprima nella sfera delle relazioni intellettuali. È stata la cultura, molto in anticipo sulla moneta, a fare l’Europa. Il riverbero lungo del Rinascimento produce quello che Montale chiama il “mito dell’uomo europeo”, attraverso il quale la cultura nel Novecento cerca di resistere all’incrudelire dei nazionalismi. A una Storia d’Europa Croce consegna la “religione della libertà” minacciata dai fascismi: e i giovani intellettuali degli anni Venti oppongono le aperture verso la cultura europea alle asfittiche chiusure autarchiche. Piero Gobetti, perseguitato dal regime mussoliniano, lascia l’Italia per Parigi con l’intenzione di diventare “editore europeo”. Mentre la guerra civile europea degenerata in conflitto mondiale lacera il continente, la filologia, da Auerbach a Curtius a Contini, riscopre il patrimonio romanzo che ha strutturato attraverso i secoli l’immaginario condiviso degli uomini europei. Compilando un catalogo della memoria da strappare all’oblio che incombe sull’Europa.

Il mito dell’uomo europeo fa dell’Europa un’unica grande città, descritta dagli intellettuali poliglotti che la attraversano. Per George Steiner l’idea di Europa si inscrive nello spazio che va da Atene a Gerusalemme, da Socrate a Isaia. L’Europa è la mappa dei suoi caffè, la somma delle sue piazze, dei luoghi in cui possono sostare e prendere appunti il poeta, il filosofo, il vagabondo. L’Europa è il labirinto delle strade che dà forma alla poesia di Baudelaire e alle idee di Benjamin. Attraverso l’Europa si aggira lo spettro evocato da Marx sulla soglia del Capitale: perché il continente è innanzitutto percorribile, e la sua storia è il riflesso della sua geografia. “L’Europa è stata, e viene ancora, camminata”: c’è sempre una distanza commensurabile tra qui e il prossimo campanile. Esiste una relazione originaria tra la misura dell’uomo elaborata dalla cultura europea e il paesaggio. Spazio e tempo dell’Europa sono antropomorfi. La poesia e la filosofia hanno natura pedestre, si accompagnano al ritmo del camminatore. Che è sempre seguito dall’ombra del mendicante, dello spirito errante. Attraverso la toponomastica l’Europa si autodefinisce come luogo della memoria, come rete di punti culturalmente saturi, che comprende anche i buchi neri delle stragi, dei genocidi, della violenza disumana. “Un europeo colto si trova intrappolato nella ragnatela di un in memoria luminoso e insieme soffocante.” Ma non può fare a meno di riattraversare lo spessore storico degli spazi che hanno prodotto il suo pensiero. “L’Europa dimentica se stessa quando dimentica di essere nata dall’idea di ragione e dallo spirito della filosofia.” Già una volta, scrive Steiner, l’Europa si è suicidata uccidendo gli ebrei, ovvero l’altro che la definiva. Lo spirito europeo, deportato e strappato dal cuore delle città, si è estinto, lasciando la cenere di un’espressione geografica e di un’entità economica tenuta insieme dalla burocrazia. Nel deserto di quella cenere la cultura si è incaricata di ricostruire il racconto di una civiltà, di rammendare i testi fatti a pezzi, di riattivare la memoria straziata. Di ritrovare sotto le macerie la traccia di senso che disegna la forma delle città.

Oggi dalla capacità di raccontare, riattivandola, l’intelligenza delle città, “icone fragili” della civiltà europea, muove la ricostruzione culturale ed economica del continente. All’Expo di Shanghai del 2010 un padiglione rappresentava la vita urbana come sorretta da due colonne di volumi: i libri sull’utopia. “Da Campanella a Platone, da Confucio alla Bibbia ciò che impedisce ad Atene di diventare Sodoma, insegnava la Cina, è qualcosa di impalpabile e solidissimo.” Una produzione immateriale di significati “che rende la città il moltiplicatore di sviluppo, di conoscenza, di interessi, di conflitti. Non a caso la modernità della guerra colpisce le città: per distruggere questo tessuto piú e come le infrastrutture. E non per niente la modernità ha bisogno di spazi urbani per moltiplicare bisogni e opportunità, nel mondo cosí come in Europa.”

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