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Johan Putsch, Carta antropomorfa dell’Europa regina, 1537
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Questo testo apre un’inchiesta
collettiva su L’Europa delle città, che verrà prodotta in collaborazione con
il blog Il Bureau: racconteremo, attraverso esperienze professionali e di vita,
esempi di intelligenza urbana che
attivano il sapere creativo delle città, e possono offrire modelli di
riconnessione del tessuto culturale
europeo.
Che
nelle università europee non si studino piú le economie di Asia, Africa e
America Latina alla rubrica Expansion of
Europe, come accadeva ad Amartya Sen giovane studente di Cambridge,
probabilmente non è un sintomo di decadenza. Piú stringente la sentenza di
Sartre, citata da Sen: “Cos’è successo? Semplicemente che eravamo i soggetti della storia e adesso ne siamo gli oggetti.”
Scivolata lentamente, nel corso del Novecento, dal centro del mondo verso una
paradossale posizione periferica, l’Europa ha sfumato i propri connotati
politici e culturali, e si è consegnata all’orizzonte piatto di una crisi finanziaria acefala,
ingovernabile, che sembra essersi autogenerata senza produrre responsabilità.
Il progetto unitario europeo nasce da un’esigenza politica e umanitaria, ma
deraglia presto verso una traiettoria
burocratica. La politica monetaria ha generato tensioni disgregatrici. Il
ricatto emergenziale risveglia le miopi, violente tentazioni regionalistiche,
alimentate da un risentimento identitario
sempre sul punto di degenerare nell’odio. La discussione pubblica e la
progettazione politica necessarie a recuperare il significato della solidarietà europea devono passare
attraverso la riconnessione dei tessuti culturali e l’elaborazione di una visione comune. Secondo una prospettiva
capace di ripensare l’umanesimo, ovvero il nucleo dell’idea di Europa, e di “coniugare ciò che la crisi attuale ci ha
fatto credere separato: il rigore dei bilanci e gli investimenti nelle
conoscenze, nella cultura, nella formazione, nella rigenerazione dei legami
sociali; la direzione e la partecipazione; le culture umanistiche e le culture
scientifiche; lo sviluppo economico e lo sviluppo umano integrale.”
L’Europa,
concetto politico sempre in formazione, è esistita compiutamente dapprima nella
sfera delle relazioni intellettuali. È
stata la cultura, molto in anticipo sulla moneta, a fare l’Europa. Il
riverbero lungo del Rinascimento produce quello che Montale chiama il “mito dell’uomo europeo”, attraverso il
quale la cultura nel Novecento cerca di resistere all’incrudelire dei
nazionalismi. A una Storia d’Europa
Croce consegna la “religione della libertà” minacciata dai fascismi: e i
giovani intellettuali degli anni Venti oppongono le aperture verso la cultura europea alle asfittiche chiusure
autarchiche. Piero Gobetti, perseguitato dal regime mussoliniano, lascia
l’Italia per Parigi con l’intenzione di diventare “editore europeo”. Mentre la
guerra civile europea degenerata in conflitto mondiale lacera il continente, la
filologia, da Auerbach a Curtius a Contini, riscopre il patrimonio romanzo che
ha strutturato attraverso i secoli l’immaginario
condiviso degli uomini europei. Compilando un catalogo della memoria da
strappare all’oblio che incombe sull’Europa.
Il
mito dell’uomo europeo fa dell’Europa un’unica grande città, descritta dagli intellettuali poliglotti
che la attraversano. Per George Steiner l’idea di Europa si inscrive nello
spazio che va da Atene a Gerusalemme, da
Socrate a Isaia. L’Europa è la mappa dei suoi caffè, la somma delle sue
piazze, dei luoghi in cui possono sostare e prendere appunti il poeta, il
filosofo, il vagabondo. L’Europa è il labirinto delle strade che dà forma alla
poesia di Baudelaire e alle idee di Benjamin. Attraverso l’Europa si aggira lo
spettro evocato da Marx sulla soglia del Capitale:
perché il continente è innanzitutto
percorribile, e la sua storia è il riflesso della sua geografia. “L’Europa è stata, e viene ancora, camminata”: c’è sempre una distanza
commensurabile tra qui e il prossimo campanile. Esiste una relazione originaria
tra la misura dell’uomo elaborata dalla cultura europea e il paesaggio. Spazio e tempo dell’Europa sono antropomorfi.
La poesia e la filosofia hanno natura pedestre, si accompagnano al ritmo del
camminatore. Che è sempre seguito dall’ombra del mendicante, dello spirito
errante. Attraverso la toponomastica l’Europa si autodefinisce come luogo della
memoria, come rete di punti
culturalmente saturi, che comprende anche i buchi neri delle stragi, dei
genocidi, della violenza disumana. “Un europeo colto si trova intrappolato
nella ragnatela di un in memoria
luminoso e insieme soffocante.” Ma non può fare a meno di riattraversare lo spessore storico degli spazi che hanno
prodotto il suo pensiero. “L’Europa dimentica se stessa quando dimentica di
essere nata dall’idea di ragione e dallo spirito della filosofia.” Già una
volta, scrive Steiner, l’Europa si è suicidata uccidendo gli ebrei, ovvero
l’altro che la definiva. Lo spirito
europeo, deportato e strappato dal cuore delle città, si è estinto,
lasciando la cenere di un’espressione geografica e di un’entità economica
tenuta insieme dalla burocrazia. Nel deserto di quella cenere la cultura si è
incaricata di ricostruire il racconto di
una civiltà, di rammendare i testi fatti a pezzi, di riattivare la memoria
straziata. Di ritrovare sotto le macerie la traccia di senso che disegna la forma delle città.
Oggi
dalla capacità di raccontare, riattivandola, l’intelligenza delle città, “icone fragili” della civiltà europea, muove la ricostruzione
culturale ed economica del continente. All’Expo di Shanghai del 2010 un
padiglione rappresentava la vita urbana come sorretta da due colonne di volumi:
i libri sull’utopia. “Da Campanella a Platone, da Confucio alla Bibbia ciò che
impedisce ad Atene di diventare Sodoma, insegnava la Cina, è qualcosa di impalpabile e solidissimo.”
Una produzione immateriale di significati “che rende la città il moltiplicatore di sviluppo, di conoscenza,
di interessi, di conflitti. Non a caso la modernità della guerra colpisce le città: per distruggere questo
tessuto piú e come le infrastrutture. E non per niente la modernità ha bisogno
di spazi urbani per moltiplicare bisogni
e opportunità, nel mondo cosí come in Europa.”