Se è vero
che tutto ciò che accade ha un senso, a volte devo sforzarmi tanto per capirlo.
È cosí che lo spazio è finito dove una vita sospira ancora, dove minuscole tracce di luce si intravedono nel cielo di una oscura cella.
Sí, quasi a tutto si può rinunciare, ma non a un flebile squarcio di spazio che attraversa le sbarre di una vecchia finestra, ormai logorata da mani pesanti e avvizzite dal tempo.
Un tempo che scorre sui binari di andata e si ferma in Florida, dove lo spazio è finito con la prigionia di Chico Forti, che continua a dichiararsi innocente. Un tempo che intreccia altre storie. E in Italia lo spazio è finito dentro le mura di tante prigioni “sovraffollate e indegne di un paese civile”.
Cos’altro si può rimuovere da una mente che vive e osserva?
Maria Falcone
È cosí che lo spazio è finito dove una vita sospira ancora, dove minuscole tracce di luce si intravedono nel cielo di una oscura cella.
Sí, quasi a tutto si può rinunciare, ma non a un flebile squarcio di spazio che attraversa le sbarre di una vecchia finestra, ormai logorata da mani pesanti e avvizzite dal tempo.
Un tempo che scorre sui binari di andata e si ferma in Florida, dove lo spazio è finito con la prigionia di Chico Forti, che continua a dichiararsi innocente. Un tempo che intreccia altre storie. E in Italia lo spazio è finito dentro le mura di tante prigioni “sovraffollate e indegne di un paese civile”.
Cos’altro si può rimuovere da una mente che vive e osserva?
Maria Falcone
Paolo Gervasi dialoga con Maria Falcone, docente di
scuola carceraria e autrice del libro Carceri, lo spazio è finito edito da Infinito Edizioni.
Maria potresti introdurci al tema del libro?
Carceri, lo spazio è finito ripercorre un viaggio che attraversa, supera e circoscrive i labirinti piú impervi della vita umana. Comincia descrivendo una prigione arida e fredda, ubicata nelle paludi della Florida, in cui da piú di 13 anni un nostro connazionale, Chico Forti, con un numero stampato sulla divisa urla al mondo intero la sua innocenza. Ed è un urlo di dolore che solo la revisione del processo può lenire; la sola cosa che gli consentirebbe di realizzare un sogno chiamato libertà.
Quello stesso urlo si unisce al coro unanime della famiglia Forti e di tanti amici, coloro che con molta tenacia, forza e autenticità ci fanno credere che sí… una giustizia esiste. Esiste un diritto che sovrasta tutti gli altri ed è il diritto alla vita. Un diritto che si afferma con la sola forza di poter dire: “Sí… la dignità è ciò che contraddistingue l’uomo nella sua pur limitata esistenza.”
Solo attraverso il paragone con la sofferenza fisica, sempre connessa a quella psichica, riusciamo a capire cos’è la dignità. A tutti noi è capitato di avere a che fare con la malattia, se non in quella personale ci si è imbattuti nella sofferenza di un parente o di un amico. A tutti noi è capitato, almeno una volta, di “assaggiare” la dignità dell’altro nel dolore solo quando lo ha saputo affrontare, attraversare e addolcire. Quella stessa dignità che contraddistingue Chico di fronte al dolore della perdita è quella stessa dignità che contraddistingue i detenuti italiani di fronte a gravi problemi strutturali e di inadeguatezza degli spazi.
Maria potresti introdurci al tema del libro?
Carceri, lo spazio è finito ripercorre un viaggio che attraversa, supera e circoscrive i labirinti piú impervi della vita umana. Comincia descrivendo una prigione arida e fredda, ubicata nelle paludi della Florida, in cui da piú di 13 anni un nostro connazionale, Chico Forti, con un numero stampato sulla divisa urla al mondo intero la sua innocenza. Ed è un urlo di dolore che solo la revisione del processo può lenire; la sola cosa che gli consentirebbe di realizzare un sogno chiamato libertà.
Quello stesso urlo si unisce al coro unanime della famiglia Forti e di tanti amici, coloro che con molta tenacia, forza e autenticità ci fanno credere che sí… una giustizia esiste. Esiste un diritto che sovrasta tutti gli altri ed è il diritto alla vita. Un diritto che si afferma con la sola forza di poter dire: “Sí… la dignità è ciò che contraddistingue l’uomo nella sua pur limitata esistenza.”
Solo attraverso il paragone con la sofferenza fisica, sempre connessa a quella psichica, riusciamo a capire cos’è la dignità. A tutti noi è capitato di avere a che fare con la malattia, se non in quella personale ci si è imbattuti nella sofferenza di un parente o di un amico. A tutti noi è capitato, almeno una volta, di “assaggiare” la dignità dell’altro nel dolore solo quando lo ha saputo affrontare, attraversare e addolcire. Quella stessa dignità che contraddistingue Chico di fronte al dolore della perdita è quella stessa dignità che contraddistingue i detenuti italiani di fronte a gravi problemi strutturali e di inadeguatezza degli spazi.
Il parallelismo tra la vicenda di Chico Forti e il sovraffollamento carcerario si basa sul problema dei diritti negati?
A Chico viene continuamente rigettata la richiesta di revisione del processo. Ma perché, per quale motivo non si deve dare a quest’uomo un’altra possibilità? È un padre che deve rispondere ai figli. È un figlio che deve rispondere a una madre, mentre questa aspetta e si asciuga le lacrime. Ma sí, una grande democrazia come l’America troverà una risposta alle domande di Chico. E come cittadina italiana aspetto solo il momento della risposta, nella speranza che arrivi il prima possibile.
La stessa risposta che spero giunga anche per i prigionieri italiani non piú dalla Corte di Strasburgo, ma dall’Italia.
Per ben due volte alcuni detenuti, per vedersi riconosciuti i diritti, hanno fatto ricorso alla Corte di Strasburgo. Il 16 luglio 2009 e l’8 gennaio 2013 l’Italia è stata condannata a risarcire i detenuti per danni morali subiti a causa del sovraffollamento nelle celle.
In Italia il problema del sovraffollamento carcerario è stato piú volte segnalato dalle alte cariche dello Stato.
Il Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato e il Ministro della Giustizia hanno piú volte notificato l’insostenibilità della realtà carceraria, raccomandando l’adozione di provvedimenti disciplinari rispettosi del dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena, sui diritti e la dignità delle persone.
Quali sono i dati che indicano la dimensione del sovraffollamento carcerario?
In Italia ci sono 206 istituti penitenziari per adulti, suddivisi in 38 case di reclusione, 161 case circondariali e 7 istituti per le misure di sicurezza. Al 31 ottobre 2011 la capienza regolamentare era di 45.817 posti, i detenuti presenti erano 67.428, di cui 24.401 stranieri, 2.877 donne, 873 semiliberi (90 stranieri). All’interno delle prigioni italiane c’è una popolazione carceraria che supera di molto il numero consentito: esattamente 21.110 unità in eccesso.
Un numero di detenuti considerevolmente alto.
Certamente sí, ma il nostro paese o meglio la nostra democrazia, per quanto compiuta possa essere, in alcuni aspetti non riesce ancora a superare la frattura che si crea tra il carcere e la società. Il reato è il fatto piú effimero che possa esistere, non possono esserci sconti per chi commette un reato nei confronti di un altro. Questo è un dato certo sia per la sicurezza sociale sia per la sicurezza individuale. Quello che invece si deve raggiungere è la necessità di considerare di volta in volta l’individuo nella sua specifica pena e di incanalare la situazione verso forme di vita piú decenti. Solo quando le persone raggiungono una siffatta consapevolezza si può iniziare a parlare di carcere riabilitativo e riparativo.
Prima ancora, però, spero che si inizi a parlare di prevenzione del crimine.
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