Un certo giorno iniziammo ad affacciarci sul mosaico in bianco e nero di queste
finestrelle, come Alice davanti allo specchio. Uno scatto di fotocamera, la
scansione dell’occhio digitale, apriva un accesso a qualcosa d’altro. I QR code
sono nuovi, vecchi ormai, passaporti di
accesso (o “passaporte”, portkeys,
per usare categorie dell’universo “harrypotteriano”) che conducono solitamente
all’effimero. La bellezza di questi “codici a barre bidimensionali” sta nella
loro geometrica esattezza: il
moderno che mima l’antico mosaico, in una forma grafica che, immediatamente,
comunica che ci sta cifrando qualcosa. Nascondere
per rivelare è uno dei meccanismi piú antichi della comunicazione. Le due
consonanti stanno qui per “Quick” e “Read”, o anche “Quick Response”, dove il “quickly”
rimane, evidentemente, uno dei miti piú potenti della modernità tutta. Questi
codici hanno, in origine, un certo legame con la filosofia del “lean thinking”,
perché furono introdotti nei primi anni Novanta, in Giappone, proprio per
tracciare componenti d’auto in modo piú razionale ed economico. Nel dibattito
tra uso dei QR code e uso degli RFID, spesso non si tiene conto del semplice aspetto percettivo, della forma fisica
che li differenzia. Gli RFID comunicano la magia della trasmissione di un
contenuto senza contatto, a radiofrequenza appunto. I codici QR interpellano,
invece, la categoria iperoccidentale del
“vedere”, del decifrare con lo sguardo. Non a caso, infatti, questi codici
sono stati utilizzati anche all’interno di forme “artistiche”, in quadri o
fotografie. Dunque, questi mosaici-labirinto
cifrano informazioni per condensarle e trasportare il lettore a un contenuto
informativo – spesso il collegamento ipertestuale a una porzione di web – in
modo rapido. Ma il concetto di rapidità si è talmente evoluto, o distorto, che
dover prendere uno smartphone per
inquadrare con la fotocamera il quadretto del QR code prima di ricevere la
rivelazione del contenuto al quale il piccolo mosaico in bianco e nero rimanda,
può essere ormai percepita – dai piú – come procedura macchinosa e tutt’altro che “quick”. Resta allora solo il
fascino della “cifratura”, della soglia, come nello specchio che si scioglie e fa passare Alice dall’altra parte;
resta quel senso di enigma che anche il piú insignificante e inutile tra i
molti QR code disseminati in riviste, giornali, manifesti pubblicitari,
cellophane di piantine da supermercato è in grado di restituirci.
Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi. (Italo Calvino)
mercoledì 16 gennaio 2013
L’enigma del mosaico
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