mercoledì 16 gennaio 2013

L’enigma del mosaico

“QR” è l’undicesima voce del Dizionario controfattuale dell’innovazione di Matteo Pelliti. Un glossario incongruo fatto di indagini storico-etimologiche che aprono varchi nella stolida compattezza delle parole d’ordine della modernità. Un antidoto ai tic gergali e alle coazioni al nuovo, da somministrare, parafrasando Montale, agli “innovatori che non si voltano”. Uno stupidario puntuale come il mercoledí, tutti i mercoledí, in collaborazione con Il Bureau.
 

Un certo giorno iniziammo ad affacciarci sul mosaico in bianco e nero di queste finestrelle, come Alice davanti allo specchio. Uno scatto di fotocamera, la scansione dell’occhio digitale, apriva un accesso a qualcosa d’altro. I QR code sono nuovi, vecchi ormai, passaporti di accesso (o “passaporte”, portkeys, per usare categorie dell’universo “harrypotteriano”) che conducono solitamente all’effimero. La bellezza di questi “codici a barre bidimensionali” sta nella loro geometrica esattezza: il moderno che mima l’antico mosaico, in una forma grafica che, immediatamente, comunica che ci sta cifrando qualcosa. Nascondere per rivelare è uno dei meccanismi piú antichi della comunicazione. Le due consonanti stanno qui per “Quick” e “Read”, o anche “Quick Response”, dove il “quickly” rimane, evidentemente, uno dei miti piú potenti della modernità tutta. Questi codici hanno, in origine, un certo legame con la filosofia del “lean thinking”, perché furono introdotti nei primi anni Novanta, in Giappone, proprio per tracciare componenti d’auto in modo piú razionale ed economico. Nel dibattito tra uso dei QR code e uso degli RFID, spesso non si tiene conto del semplice aspetto percettivo, della forma fisica che li differenzia. Gli RFID comunicano la magia della trasmissione di un contenuto senza contatto, a radiofrequenza appunto. I codici QR interpellano, invece, la categoria iperoccidentale del “vedere”, del decifrare con lo sguardo. Non a caso, infatti, questi codici sono stati utilizzati anche all’interno di forme “artistiche”, in quadri o fotografie. Dunque, questi mosaici-labirinto cifrano informazioni per condensarle e trasportare il lettore a un contenuto informativo – spesso il collegamento ipertestuale a una porzione di web – in modo rapido. Ma il concetto di rapidità si è talmente evoluto, o distorto, che dover prendere uno smartphone per inquadrare con la fotocamera il quadretto del QR code prima di ricevere la rivelazione del contenuto al quale il piccolo mosaico in bianco e nero rimanda, può essere ormai percepita – dai piú – come procedura macchinosa e tutt’altro che “quick”. Resta allora solo il fascino della “cifratura”, della soglia, come nello specchio che si scioglie e fa passare Alice dall’altra parte; resta quel senso di enigma che anche il piú insignificante e inutile tra i molti QR code disseminati in riviste, giornali, manifesti pubblicitari, cellophane di piantine da supermercato è in grado di restituirci.

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