Paolo Gervasi
Questo testo è stato pubblicato il 19 gennaio su Il Bureau.
Se è vero che ogni crisi del libro si è presentata ciclicamente con le insegne dell’apocalisse,
le difficoltà attuali del sistema editoriale presentano elementi di
complessità mai sperimentati prima. Non si tratta soltanto di una
sofferenza commerciale: in crisi stavolta è la funzione del libro, che
rapidamente perde centralità e influenza nel sistema dei media.
Assediato dalla pressione dei flussi informativi il libro si rifugia ai
margini dell’universo digitale, in uno spazio in cui la tensione
comunicativa si allenta e lascia respirare la sua lentezza analogica.
Inseguendo la velocità dei dispositivi più giovani il libro tenta forme
di ibridazione, cerca di catturare frammenti del discorso mediale, imita
i linguaggi degli altri media e prende in prestito personaggi
“cresciuti” altrove. Per sopravvivere il libro sdoppia la propria
natura, sfrutta bagliori di luce riflessa, proponendosi come segmento di
un circuito comunicativo e commerciale più ampio. E arrivando così a
coincidere con il ritratto che McLuhan faceva del giornale a metà degli
anni Sessanta: un mosaico, un medium che intercetta porzioni di
interesse prodotte dagli altri media, la TV, la radio, il cinema e
naturalmente, oggi, l’eco potente della rete.
A questa forma di ibridazione appartiene anche il fenomeno dei libri dei politici.
L’editoria insegue i politici per garantirsi spazi di attenzione aperti
dal discorso sull’attualità. Allo stesso tempo però l’editoria politica
rivela la tenuta di una funzione simbolica che restituisce al libro una
sorta di centralità di ritorno. I politici si fanno tentare volentieri
dallo specchio narcisistico della copertina nel quale ammirare il
proprio nome, e spesso il proprio volto. Sempre di più i momenti
decisivi della carriera di un politico sono contrappuntati dalla
pubblicazione di un libro.
Il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha lanciato la propria campagna per le primarie pubblicando per Rizzoli Stil novo. La rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter. Un libro che probabilmente non ha conquistato la critica,
ma che ha sintetizzato come in un manifesto la disinvoltura pop con la
quale Renzi intendeva declinare la tradizione, politica e culturale.
Mario Monti è attualmente in libreria con due volumi, pubblicati
entrambi nel novembre del 2012: Le parole e i fatti, scritto con Federico Fubini, e La democrazia in Europa,
scritto con l’eurodeputato francese Sylvie Goulard. L’offensiva
editoriale montiana porta a riconsiderare anche la tempistica delle
dimissioni e della candidatura, insinuando il dubbio di dover retrodare
di qualche settimana la sofferta decisione della salita in
politica. Del resto il profilo di Monti “scrittore” conferma ed estende
quello del politico: sobrietà, rigore, pragmatismo, competenza tecnica,
collocazione internazionale.
La politica editoriale di
Grillo è perfettamente in linea con la strategia autarchica, di alterità
radicale, che ispira la proposta politica del M5S. Di più: il
fenomeno Grillo nasce come una sperimentazione editoriale, come la
creazione di una piattaforma comunicativa costruita per rispondere alla
chiusura degli spazi tradizionali. La produzione di libri e dvd, pensata
come un segmento del sistema-Grillo, forma insieme al blog e agli
spettacoli live (ai quali si sono sostituiti i comizi politici) un
continuum “blindato” di proposte integrate, che resiste, generando la
coflittualità violenta che sperimentiamo quotidianamente, ai tentativi
di penetrazione da parte degli altri media, pubblici e privati.
A
sinistra la passione per la scrittura sembra rispondere, più che alle
esigenze della visibilità, ai tempi travolgenti dell’ispirazione.
In primo piano non ci sono i libri di analisi politica, ma la
“letteratura”: incontrastata si staglia la figura del romanziere Walter
Veltroni, al quale il suo collega Christian Raimo ha dedicato ostinate analisi filologiche. Seppure probabilmente la lingua stereotipata e l’immaginario infantile di Veltroni non interessano in quanto letterariamente sbagliati,
come risultano sotto la lente di Raimo, che segnala con acribia gli
“errori” e gli orrori stilistici. Interessano, al contrario, proprio
perché sono giusti, e forse mantenuti nell’orizzonte dello
stereotipo da un sapiente ghost writing, che a quella lingua e a
quell’immaginario affida la funzione comunicativa e, in senso lato,
politica del libro. Emulo di Veltroni, anche Dario Franceschini
frequenta la narrativa. Il realismo magico di Franceschini affianca il
realismo vaticanosecondo di Veltroni, e crea un universo popolare, con
accenti che mimano le storie degli ultimi di De André, filtrate dal
buonismo militante di Fabio Fazio. La scrittura è veltronianamente
impalpabile, il destino è quello di un epigonismo veltroniano che, se
era triste politicamente, dal punto di vista letterario diventa
straziante.
Il proverbiale narcisismo dalemiano ha prodotto titoli di analisi politica e di ricostruzione storica, tra i quali Il mondo nuovo. Riflessioni per il Partito Democratico. Il
titolo fantascientifico, che richiama l’utopia tecnocratica immaginata
da Aldous Huxley, suona vagamente autolesionistico, nonché beffardo alla
luce del recente passo indietro che i venti di rinnovamento hanno
imposto al lìder maximo. Un mondo nuovo, sì: ma senza D’Alema.
I due soli titoli firmati dal leader e candidato premier Bersani (Viaggio nell’economia italiana, scritto con Enrico Letta nel 2004, e il recente Per una buona ragione) puntano
sulla competenza, sul pragmatismo dell’analisi economica, su una
schietta sobrietà, sostenuta da un basso profilo mediatico che conferma
la strategia comunicativa dell’anticomunicatore, impugnata sempre più
consapevolmente da Bersani. Nichi Vendola, l’unico politico che abbia
tentato a sinistra una via carismatica alla leadership, firma titoli e
copertine evocativi, coerenti con il linguaggio barocco che le sue
visionarie “fabbriche” gli hanno costruito addosso. Ma Vendola, si sa,
prima di tutto è un poeta: le sue raccolte di versi sono funzionali alla
rappresentazione del leader sognatore, realista perché chiede
l’impossibile. Purtroppo per Nichi però la poesia respinge le
mistificazioni, è un luogo di rigorosa verifica del linguaggio: e i suoi
versi svelano inequivocabilmente l’artificio e la frequente
inautenticità delle sue architetture verbali.
A destra si trovano spiazzanti tentativi saggistici come quello di Cicchitto, che ripercorre la storia della sinistra italiana “da Gramsci a Bersani”.
La bibliografia di Sandro Bondi è addirittura vertiginosa: all’attività
del poeta imperiale, che con i suoi ritratti in versi di favorite e
cortigiani ha segnato il punto estremo della rivoluzione culturale del
berlusconismo, si affiancano audaci escursioni intellettuali. La cultura è libertà, afferma Bondi nel 2011: un titolo quasi autoironico se si pensa all’esperienza di Bondi ministro poco liberamente dimissionato. Ancora nel dominio del comico e dell’autosatira si collocano titoli come La civiltà dell’amore. Politica e potere al femminile, oppure Io, Berlusconi, le donne, la poesia, che echeggia l’ariostesco incipit del Furioso: le donne, i cavalier, l’armi, gli amori. Ma non c’è più molto da ridere quando con un libro come Il sole in tasca Bondi associa la figura di Adriano Olivetti a quella di Silvio
Berlusconi. Una vera e propria impostura storiografica che per fini
propagandistici banalizza le idee di Olivetti accostando la sua
imprenditoria sociale e civile al capitalismo rapace e criminogeno di
Berlusconi.
In fatto di intrecci tra editoria e politica la figura di Berlusconi eccede quella di tutti gli altri politici-scrittori.
Da editore controlla, per attenersi soltanto ai libri, due delle case
editrici più importanti del Paese, Mondadori ed Einaudi, i cui
prestigiosi cataloghi hanno conosciuto negli ultimi anni impercettibli
ma sostanziali perturbazioni. Dell’Utri, ispiratore del progetto
politico berlusconiano, è un raffinato collezionista di libri antichi,
un bibliofilo la cui passione libraria proietta l’unica ombra vagamente
drammatica di contraddizione intellettuale sulla farsa tutta in luce del
ventennio berlusconiano.
Da “scrittore” Berlusconi firma due
prefazioni che, se lette tempestivamente con attenzione, avrebbero
rivelato della parabola storica del berlusconismo più di qualunque
analisi politologica, sociologica o semiotica. Nel 1994, l’anno della
prima discesa in campo, Berlusconi introduce un’edizione del trattato di
Machiavelli sul principato, e una dell’Elogio della follia di
Erasmo da Rotterdam. Il realismo politico di Machiavelli e il
rovesciamento del senso comune di Erasmo vengono piegati alle esigenze
del disegno berlusconiano: paradossale miscuglio di machiavellismo
deteriore e “follia” istituzionale. La prefazione di Berlusconi al Principe
si allinea a quelle di altri due “statisti” che hanno scelto di
misurare le proprie ambizioni e i propri sogni di trasformazione
dell’Italia sulle parole di Machiavelli, il primo teorico politico
moderno: Mussolini e Craxi.
Negli anni Venti Piero Gobetti, editore perseguitato dal nascente regime fascista, pubblicava i libri di Luigi Einaudi,
strumenti di militanza politica che si inserivano nel contesto
dell’attualità, ma rappresentavano elaborazioni culturali destinate a
durare. Oggi qualche sussulto epocale lo consegnano i titoli dei libri
di Cossiga: il provocatorio Fotti il potere, uscito nel 2010, oppure la controstoria d’Italia Italiani sono sempre gli altri, sintesi folgorante dell’eterna inclinazione italiana alla dissociazione, e dei guasti sociali e politici che ha prodotto.
In definitiva nel contesto politico i libri continuano a svolgere una funzione simbolica
non secondaria: riverberano sull’autore un prestigio intellettuale di
sapore novecentesco, e lavorano a una occupazione degli spazi che
allarga lo spettro della visibilità pubblica. Intorno al libro si
struttura una ritualità sociale che genera un effetto di eco: così
funzionano i libri di Vespa, che all’utilissimo ruolo di strenna
natalizia abbinano la risonanza mediatica, trasformando le presentazioni
in comizi e conferenze stampa. I libri dei politici, per questa
tendenza a farsi vettori di esposizione e comunicazione, sono per lo più
meteore che durano il tempo di una transizione politica o di una
campagna elettorale. Diventano fantasmi bibliografici, disattivati,
superati, spesso incomprensibili se non ricondotti al contesto della
pubblicazione. La funzione comunicativa inclusa nel libro prescinde
integralmente dal contenuto, e conferma un’altra delle celebri
intuizioni di Marshall McLuhan: il medium è il messaggio.
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